INDOVINA CHI VIENE A PRANZO DAVIDE CARBONARO ARCIVESCOVO POTENZA MURO MOLITERNO

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Nominato arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marisco Nuovo il 2 febbraio scorso, monsignor Davide Carbonaro, cinquantasette anni, ha fatto il suo ingresso nel Capoluogo, da capo della chiesa locale, il 18 maggio scorso. Si è ritrovato a Potenza, praticamente, nel bel mezzo dei festeggiamenti del Santo Patrono e dell’accesa campagna elettorale per le comunali.

Quel che si dice, un battesimo del fuoco.

d- Come giustifica la sua esistenza?

r - In modo semplicissimo, ma profondissimo: mi sento amato. Lo sono stato e lo sono ancora. Sono stato molto amato dai miei genitori nel contesto di una famiglia meridionale, molto semplice, proveniente dalla Sicilia e ho capito, crescendo, che quello era il riflesso di un amore molto più grande. Quello di Dio.

d- Di cosa si occupava la sua famiglia?

r - Siamo della Val di Noto, mamma originaria di Rosolini, papà di Ispica. Mamma faceva la casalinga e papà l’artigiano, il falegname.

d- Nel senso che l’amore e la fede l’hanno “salvata”.

r - Mi potevo perdere come qualsiasi altro ragazzo, come purtroppo è accaduto ad alcuni miei amici.

d- Quando ha capito che nella sua vita sarebbe stato un sacerdote?

r - Beh, già da piccolissimo: da persona del Sud, vivevo nel cuore della devozione popolare.

d- Era comunista, papà?

r - No, non era comunista, ma era un gran mangiapreti e gli è capitata ‘sta disgrazia, nella sua vita (risate). Papà era il classico siciliano degli anni Quaranta, cresciuto in un ambiente un po’ anticlericale.

d- Lei ci ha narrato di un ambiente tipico delle parrocchie di quartiere di alcuni decenni fa, che l’ha formata; di recente ho intervistato il parroco storico di Tito (Pz),

r - Dal mio punto di vista, la chiesa è cambiata in meglio, dialogando con la Modernità; io, così come i mie confratelli,

r - Dipende. E’ un effetto della secolarizzazione. Questa emorragia è soprattutto visibile nel Nord Italia. Nel Nord Europa c’è stato un distacco tra la fede e la vita. La modernità e la post-modernità hanno portato a questa sorta di “autonomia”, che mette la fede da parte. .

d- Lei è arrivato in città nel bel mazzo dei festeggiamenti del Santo Patrono, ricevendo un abbraccio particolarmente caloroso. Tuttavia, quando le hanno detto che doveva andare a Potenza, cos’ha pensato?

r - Quando me l’hanno detto, geograficamente non sapevo neanche dove fosse! (ride)

d- Un classico.

r - Infatti, penso che l’abbiate già sentito.

d- Al di là del “protocollo ufficiale”, cosa le ha detto il suo predecessore, Ligorio?

r - Lui e gli altri vescovi mi hanno consegnato una narrazione, come avviene in ogni altra realtà, delle ricchezze e delle povertà di questa chiesa.

d- Potenza è il capoluogo di regione in una terra in cui la povertà sembra crescere: in che modo la povertà può influire sul percorso pastorale di un Arcivescovo?

r - Mmm, io parlerei di povertà e di ricchezza insieme.

r - Innanzitutto di dialogo, parola che preferisco a “critica”. E poi, il pastore è sempre un padre di tutti, e un padre, ogni tanto, va dai propri figli a chiedere conto dello stato delle cose. E io penso di pormi anche da questo punto di vista.

d- Lei ha citato la Madonna di Viggiano, sa bene che i politici, ogni volta, sono sempre tutti lì, in passerella, seduti in prima fila. Una tiratina d’orecchi, magari ogni tanto...

r - (Sorride). Se sarà necessario, anche questo, ma sempre nel dialogo fraterno, e sempre nella dimensione adulta, di persone al servizio della gente. Lo spirito illumina la carne e la carne dà valore e forza allo spirito.

d- Fra una quindicina di giorni Potenza sceglierà il suo prossimo sindaco. Cosa gli dirà?

r - “Coraggio, andiamo avanti!”. Dobbiamo voler bene a questa nostra città e alle persone che la abitano.

d- C’è qualcosa che la spaventa, in questo inizio di percorso pastorale in una città come Potenza?

r - Sì, mi spaventa il non conoscere molte realtà.

d- Girerà molto?

r - Già lo sto facendo, sia all’interno della città, sie nell’hinterland.

d- Ho avuto modo di assistere a una sua celebrazione di cresima, sabato scorso a Potenza, e lei a un certo punto ha parlato del diavolo.

r - Sì, sì. San Paolo VI parlava di “dimensione personale” del diavolo, e il male ha una sua influenza.

d- Il libro che la rappresenta?

r - Mamma mia! (ride). “Il Nome della Rosa”, di Umberto Eco. Adoro il mondo medievale e qui ci sono luoghi assolutamente straordinari, come la cattedrale di Acerenza.

d- La canzone?

r - I Pooh, quella che fa “Ci sono uomini soli...per la sete di avventura”, e forse è un’avventura quella che il Signore mi sta chiedendo di vivere. Una cosa straordinaria.

d- Il film?

r - Bah, potrei dire... “Top Gun”.

d- Lei è uno degli Anni Ottanta, l’ha detto prima.

r - Giustamente.

d- Tra cent’anni scoprono una targa a suo nome qui in Arcidiocesi: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

Non saprei...”Qui giace quel vescovo che mai tace” (sorride). Che non tace soprattutto per la Verità e per il Vangelo.

di Walter De Stradis

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