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Giuseppe Maggiolini nasce a Parabiago in provincia di Milano il 13 novembre 1738, il padre era alle dipendenze del Monastero Cistercense presente in paese, alla dipendenza del quale, per tutta l’adolescenza, rimase lo stesso Giuseppe, in quanto rimasto orfano di entrambi i genitori prima dei 18 anni.
Sembra che la formazione del giovane ebanista sia avvenuta all’inizio proprio all’interno del Monastero, quale aiuto nel laboratorio di falegnameria ma ciò non spiega e ammanta di mistero, la bravura e le capacità imprenditoriali sviluppate in seguito.
Compiuti i 19 anni, volendo metter su famiglia e lavorare in proprio, apri una bottega di falegnameria e prese moglie. Sposò Antonia Vignati di undici anni più grande di Lui, cosa assai poco comune all’epoca per cui verrebbe da pensare che sia stato un matrimonio di interesse; nulla di tutto questo, in quanto la sposa risultava molto povera Lei stessa. Nella biografia scritta da Giacomo Antonio Mezzanzanica, Sacerdote e figlio di Cherubino uno degli allievi prediletti da Giuseppe Maggiolini e dal figlio Carlo Francesco, si riporta un curioso fatto che ci fa comprendere la povertà dei tempi e del nostro protagonista. Il biografo riferisce che il banchetto di nozze consistette in una buona polenta conciata con latte e formaggio e che mentre la sposa utilizzò per mangiare una forchetta che si era portata a compendio della dote, lo sposo, non essendosi ancora attrezzato, utilizzò il compasso della bottega.
Dopo alcuni anni di lavoro nella bottega aperta nei pressi della chiesa parrocchiale, la fortuna un giorno bussò alla porta e il Maggiolini, pur nell’umiltà del suo essere, ben seppe coglierla al volo.
Intorno all’anno 1765 il valente, già famoso pittore Antonio Levati, stava decorando, nel vicino paese di Lainate il Palazzo del marchese Litta. Un giorno il suddetto pittore e Pompeo Litta andarono nel monastero di Parabiago a trovare un frate parente del marchese stesso. All’uscita del monastero mentre passeggiavano per il paese nei pressi della parrocchia, il Levati intravide su una piazzetta la bottega di un falegname. Incuriositi entrambi si avvicinarono ai mobili esposti sulla piazza e apprezzarono la precisione con cui erano assemblati, sia un tavolino lastronato con legni nostrani e semplici ma eleganti disegni, sia alcuni fusti di cuscini che le donne utilizzavano una volta, poggiandoli sulle ginocchia, per cucire. Pur nella povertà decorativa i lavori risultavano eccellenti; entrati nella bottega ne conobbero l’artefice. Mentre il marchese si intratteneva con l’artigiano godendo della sua schietta ingenuità, il Levati osservava le pareti della bottega ove erano presenti progetti e disegni di ornato che facevano pensare ad oggetti e mobili effettivamente costruiti e non semplicemente a mera esercitazione. Il Levati convinto dell’abilità del padrone della bottega commissionò al Maggiolini un canterano fornendogli i disegni di ciò che desiderava. Messo rapidamente in opera il risultato venne grandemente apprezzato.
In seguito a questa committenza ed alla pubblicità che venne fatta dal Levati alla bravura del suo artefice, arrivarono altre commissioni e sempre più di maggior rilievo. Questa rapida meritata crescita suscitò l’invidia di molti colleghi in tutta la provincia, tra cui quella di un certo Michele Martinetti, abate dei falegnami in Parabiago che non perdonò mai al Maggiolini di aver aperto bottega senza averne avuto da Lui l’attestato di idoneità.
Tra i primi lavori di alta levatura commissionati alla bottega vi fu la costruzione di pavimenti lignei intarsiati per il Palazzo Reale di Milano, tutti lavori andati persi nei bombardamenti della II guerra mondiale e di cui abbiamo solo scarsa documentazione; possiamo immaginare la loro bellezza però ammirando quelli ancora presenti nella Villa Reale di Monza, eseguiti successivamente e ancora splendidamente conservati.
Dove l’arte del Maggiolini e di suo figlio Carlo Francesco esprimeranno il massimo della bravura tecnica ed inventiva stilistica anche aiutato dai maggiori artisti, architetti e pittori del tempo, tra cui Piermarini, Appiani, Albertolli, lo stesso Levati, sarà nell’esecuzione di un numero considerevole di mobili.
I Maggiolini utilizzavano la superficie di ogni manufatto come una sorta di supporto ove dipingere utilizzando la variegatura ed il colore naturale di svariati legni; a tal proposito si spinsero ad utilizzarne fino ad 86 tipi diversi. I soli colori imposti artificialmente ai legni con processi chimici di tintura, furono il verde, il blu, il celeste e il rosa pallido.
Giuseppe Maggiolini morirà il 16 novembre 1814 lasciando la bottega al figlio Carlo Francesco che a sua volta la lascerà in eredità a Cherubino Mezzanzanica, l’allievo prediletto.
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