3 - Dario Fo: Giovanni Boccaccio e il Decamerone

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Nato nel 1313 a Certaldo, in Toscana, Giovanni Boccaccio è il figlio illegittimo di Boccaccino da Chellino, dirigente della banca dei Bardi. Inviato a Napoli dal padre, che lo vorrebbe avviare alla sua professione, il giovane
preferisce frequentare la fastosa corte di Roberto d'Angiò, dove scopre la propria passione per le lettere, nonché per i piaceri mondani. Dalla combinazione di questi
interessi, nascono le prime opere (tra cui le Rime, il romanzo d'amore Filocolo, e i poemi Filostrato e Teseida), che raccolgono numerosi riferimenti autobiografici,
tra i quali quello all'amore per una donna di nome Fiammetta (che diversi critici hanno identificato con Maria d'Aquino, figlia naturale del re Roberto d'Angiò e
sposata con un nobile della corte). Boccaccio se ne sarebbe innamorato perdutamente e, seppur corrisposto per un breve periodo, ne avrebbe presto subìto
l'abbandono.
In seguito al fallimento della banca dei Bardi, intorno al 1340, Boccaccio è costretto a tornare a Firenze, dove condurrà una vita di ristrettezze economiche ben diversa
da quella napoletana. Di questo periodo è l'Elegia di Madonna Fiammetta, in cui si può avvertire la nostalgia dell'autore per il mondo di fasti che aveva dovuto lasciare.
Nel 1348 l'epidemia di peste che dilagava in Europa colpisce anche Firenze: l'esperienza avrà un forte impatto sull'opera di Boccaccio, fornendogli la cornice
per la sua opera più celebre, il Decamerone. Il successo letterario conquistato gli procura incarichi ufficiali, portandolo a partecipare attivamente alla vita politica
della sua città.
Stanco della realtà fiorentina, dopo aver preso gli ordini minori, nel 1361 Boccaccio si ritira in un eremo a Certaldo. Inizia per lo scrittore un periodo di profonda
crisi religiosa, durante il quale medita addirittura di dare alle fiamme la sua opera "profana", il Decamerone (verrà dissuaso dall'amico Petrarca). Boccaccio dedica
quest'ultima fase della sua vita allo studio e all'analisi dei classici, redigendo opere erudite in latino. Inoltre celebra uno dei poeti da lui più ammirati: Dante Alighieri,
a cui è dedicato il Trattatello in laude di Dante.
Nel 1373, il Comune di Firenze lo invita a tenere un ciclo di letture pubbliche della Commedia di Dante. L'aggettivo che la qualifica come Divina fu proprio coniato
da Boccaccio. Le già precarie condizioni di salute dell'autore subiscono però un peggioramento e Boccaccio muore nel 1375, lasciando incompiuta la sua opera di
lettura e commento del testo dantesco.

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