"Di chi è la colpa?" - La cecità degli occhi e quella del cuore (Gv 9)

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Il racconto del cieco nato comincia così, da una domanda fatta dai discepoli a Gesù: "È colpa sua o dei suoi genitori, se quell'uomo è nato cieco?". È il solito problema: cerchiamo colpevoli, capri espiatori, cause esterne che ci liberino da ogni responsabilità. Invece, nel Vangelo di Giovanni, Gesù risponde dicendo che di fronte al male abbiamo una grande responsabilità: operare il bene, tutto il bene che dobbiamo compiere: "l'opera di Dio". "Noi", infatti, dobbiamo compiere quest'opera di Dio, dice Gesù, coinvolgendo il quel "noi" se stesso e i suoi discepoli e, nello stesso tempo, chiunque, nel presente e nel futuro, lo segue e lo seguirà. Dal bene che si dona, in questo caso da una guarigione fisica, nasce un cambiamento, una trasformazione che conduce un uomo cieco dalla nascita a vedere dapprima con gli occhi e infine con il cuore. Al contrario, coloro che invece riversano ogni "colpa" su qualcun altro, in questo caso su Gesù stesso, tanto da ritenerlo "peccatore", perché formalmente ha violato la Legge del Sabato guarendo una persona fragile, perdono il contatto con la realtà fino al punto di perdere l'occasione più importante della loro vita per riacquistare la vista che conta e incontrare "la Luce che illumina ogni uomo".

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