Lo skate non è un crimine: la storia degli skaters, dalla polizia a Tokyo 2020

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"Skateboarding is not a crime", dicono da sempre gli skaters di tutto il mondo: fare skate non è un crimine. Una frase che riassume decenni di fughe dalla polizia, tavole sequestrate, pomeriggi trascorsi in strada sotto lo sguardo diffidente dei passanti, carenza di strutture e mancata considerazione da parte delle istituzioni.

A sessant'anni dall'apparizione della prima tavola a rotelle lungo le vie della California, lo skateboarding si è emancipato fino a venire ufficialmente riconosciuto come sport olimpico. E anche in Italia, un movimento per molti aspetti clandestino e in qualche momento addirittura proibito, legato a controculture di strada come il punk, il rap, i graffiti e la breakdance, è riuscito col tempo a essere progressivamente accettato dalla società. Un percorso lungo e complicato: dai pionieri che negli anni '80 e '90 skateavano in giro per le città italiane e per questo venivano multati o addirittura arrestati, fino ai giovani skater che oggi hanno sponsorizzazioni anche da stilisti e marchi famosi, viaggiano in tutto il mondo per le gare e sognano un posto alle prossime Olimpiadi.

Un viaggio non solo sportivo, perché lo skate non è solo uno sport ma un vero e proprio stile di vita all'insegna della libertà che unisce musica, cultura, arte e voglia di stare assieme: un mondo intero, che gravita intorno a una semplice tavola di legno con quattro ruote.

di Antonio Nasso

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