Aiace di Sofocle - Teatro Romano di Fiesole, 26 Giugno 2019 - Primo Atto

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Rappresentato per la prima volta intorno al 445 a.C., l'Aiace si può definire il dramma della solitudine umana di fronte alla sfacciata disonestà del potere politico corrotto.
Un dramma dove il suono ahi è quello dominante, o da solo, o nello stesso dittongo iniziale del nome di Aiace:
Ahi! Ahi! Chi avrebbe mai potuto immaginare che il mio nome, Aiace, sarebbe andato di pari passo con il suono che esprime il dolore per la mia disgrazia? È giunto il momento di gridare due, tre volte: "Ahi, ahi, Aiace"! poiché mi sono imbattuto in queste sciagure. (Aiace, versi 430-433).
Se il destino di un uomo è racchiuso nel suono del proprio nome, il destino inesorabile che incombe su Aiace non può essere altro che il dolore. Un dolore contagioso, che si espande a macchia d'olio, l'urlo dapprima del solo Aiace, poi anche di Tecmessa, di Teucro, dell'intero coro: l'urlo di una, di due, di tre, di infinite persone, di tutta l'umanità onesta.
Ma chi è mai questo Aiace, se non quell'uomo universale di ogni luogo e di ogni tempo che combatte contro la corruzione annidata tra le pieghe dei manti del potere?
Ha due armi invincibili quest'uomo, è vero: l'immenso scudo e la sua corta spada, e una compagna fedele, come lui eterna: la solitudine. Ma il nostro eroe - ahi Aiace! - lungo il cammino della ribellione contro l'autorità nepotista e corrotta si trova sviato da un branco silente di pecore succubo della corruzione, un'umanità che non urla, che si fa connivente col male e che, per la sua stessa indole, non solo non l'aiuta, ma addirittura lo depista.
Allora, è davvero follia il delirio che travolge Aiace? O non piuttosto un lucidissimo ultimo grido di dolore nel momento in cui l'uomo onesto è ingiustamente schiacciato dall'avverso destino, anzi, più che dal destino, dall'umana avidità e dal silenzio degli ignavi? E nell'ultimo sussulto le parole dette a Eurisace sono rivolte al figlio o allo scudo, dato che entrambi portano lo stesso nome? Certamente all'uno e all'altro insieme, visto che è solo quell'unico nome che può ricondurre a unità le due parti lacerate del tutto.
Lo scontro tra l'aguzzino e la vittima è titanico, al punto da trasferire il campo di battaglia, una volta sopraggiunta la morte, oltre la vita. È qui che il tiranno nega persino la sepoltura dell'eroe, per consegnarne trionfalmente il nome all'anonimo silenzio dell'oblio. Ma è proprio qui che Aiace, forte della sua propria luce, vince l'oscurità in agguato minacciata da una doppia morte: quella fisica e quella di una damnatio memoriae che sarebbe stata, più che immeritata, ingiusta.
Giovanni Cascio Pratilli

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