Strega Bistrega

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Una pièce di vago sapore beckettiano: due stralunate streghe inseguono e attendono il loro Godot, oggetto inconoscibile di desiderio, il BAMBINO.

Il pubblico infantile si identifica nel ragazzino della storia, imprendibile - letteralmente perché la sua “distanza” cinematografica lo rende tale, ma metaforicamente perché è furbo, veloce, giocosamente vitale. Ed è proprio questo che lo rende imprendibile: lui gioca, la sua paura non gli impedisce di beffarsi del pericolo, di fermarsi a lanciare alla Strega un ultimo sberleffo prima di sparire alla sua vista, correndo felice in un campo di fieno ai confini della città. La proiezione sul fondale lo rende anche più grande, le streghe al confronto sono piccole, indifese, come a volte gli adulti sono, di fronte alle bizzarrie dei bambini. E come a volte, nel loro senso di onnipotenza, i bambini stessi si percepiscono.
E a queste Streghe pasticcione, tenere, affamate di cibo ma essenzialmente di calore e desiderio di dare accudimento, di maternità “umana” non realizzata, ignoranti del mondo di fuori, che vivono ai confini della periferia metropolitana, viene voglia di riservare un’area protetta come per gli animali in estinzione, perché sono la materializzazione di un mondo di fiaba da preservare e proteggere, perché necessario alla salute dell’uomo.
Un altro aspetto di ricchezza e profondità che individuiamo nella storia è la compresenza e la convivenza di aspetti, mondi, emozioni, epoche, conflittuali e stridenti, ma presenti nella esperienza quotidiana di tutti e nel bambino ancora di più, essendo lui un recettore aperto e in espansione, e con un mondo interiore animista che crea di continuo: la campagna che lambisce la metropoli con i suoi resti archeologici di fastosità romane decadute ma fortemente presenti; il realismo di una cameretta di bambino e l’avventura magica che la campagna proprio sotto casa dischiude; il mondo adulto e il mondo dell’infanzia, distanti ma necessari uno all’altro; un desiderio antico da parte delle streghe di accudire ma l’inadeguatezza e l’ignoranza buffonescamente clownesca di fronte a questo; il desiderio da parte del bambino (ma anche delle Streghe!) di scappare e la voglia di rimanere e scoprire “l’altro”.

Questo stridore genera una particolare poesia contemporanea che parla al bambino e a noi tutti in modo ora ironico ora magico.

E ci invita ad accogliere tra sguardi insondabili di bambini, fili d’erba, alberi da frutta, giretti in bicicletta, traffico cittadino, e fruscii nel vento, la bellezza di quello che c’è e di quello che … sembra che non ci sia.

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