I consulenti Genchi e Petrini al Processo Capaci, l'8 e 9 gennaio 1996.
I COMPUTER, LE AGENDE MANIPOLATE DI GIOVANNI FALCONE E LA STRANA MORTE DELL’INGEGNER PETRINI PERITO AL PROCESSO DEL 1996
[8/9 gennaio 1996]
C’e’ un angolo oscuro e pieno di complessi retroscena nella storia della strage di Capaci. Dopo anni d’indagini e processi, la puzza di depistaggio è fortissima. Vi proponiamo un altro episodio oscuro quasi del tutto sconosciuto: la morte del perito che ha messo le mani nei Pc e agende elettroniche di Giovanni Falcone. Secondo attente ricostruzioni, le mani in questi strumenti elettronici, non li avrebbe messe solo Lui.
Luciano Petrini era un ingegnere elettronico, aveva trentasette anni quando venne trovato, il 9 marzo 1996, con il cranio fracassato, nella sua abitazione romana. E’ la storia di un altro delitto irrisolto. Ma cosa c’entra l’ingegner Petrini con Cosa Nostra, cosa c’entra con i misteri della strage di Capaci?
Scapolo, riservato, sempre elegante, Petrini non era un esperto informatico qualunque, era uno dei migliori. Pochi mesi prima della morte, l’8 gennaio dello stesso anno, il perito si trovava in un’aula di Tribunale, a Caltanissetta, per deporre insieme a Gioacchino Genchi in un processo importantissimo: il processo di primo grado ai presunti mandanti della strage di Capaci.
Nel luglio 1992 la Procura nissena aveva affidato a Petrini il delicatissimo compito di scoprire se i computer di Giovanni Falcone fossero stati manomessi. Un compito immane, ma il consulente, con Gioacchino Genchi, porto’ a termine il lavoro in poco piu’ di sei mesi.
I risultati? Sconvolgenti!
Tre anni piu’ tardi, Petrini e Genchi iniziarono a deporre davanti ai giudici. Ascoltati, pero’, anche da Toto’ Riina e Giovanni Brusca e certamente anche da altre orecchie interessate. Avevano analizzato oltre duecento milioni di byte, trentamila pagine di documenti e di dati, il contenuto di un portatile, due notebook, due databank ed una trentina di floppy disk; i due periti consegnarono alla Procura le loro conclusioni, contenute in quarantasette volumi.
Durante la deposizione di Luciano Petrini, qualcuno, a molti chilometri da Caltanissetta, stava entrando in casa sua, senza forzare la serratura, per appropriarsi di un computer portatile, duecento cd di musica classica ed un impianto hi-fi. Un banale furto in un appartamento, benche’ senza scasso, o un avvertimento?
Appena quattro mesi piu’ tardi, l’ingegnere venne trovato da un amico, Maurizio Scibona, in una pozza di sangue, avvolto in un lenzuolo. Nell’appartamento si precipitarono i poliziotti del Commissariato San Paolo, gli uomini della Mobile romana. Della vicenda pare si siano occupati alcuni agenti dei servizi segreti. Allora era in carica il Governo Dini. La serratura non era stata forzata, in casa apparentemente non mancava nulla, i vicini non avevano sentito, ne’ notato niente di strano o di anomalo. Un omicidio violento e senza rumore. Petrini è morto con testa fracassata da diversi colpi e non avrebbe mai gridato.
Petrini era omosessuale, il suo compagno, appunto Maurizio Scibona, possedeva le chiavi dell’appartamento e per sua fortuna aveva un alibi inattaccabile per l’ora del delitto. E la Procura in modo sbrigativo, non ebbe dubbi. Per i pm romani, l’omicidio era maturato negli ambienti gay e chiuse il caso in poche settimane. Ci voleva un colpevole. E Il colpevole, fu individuato in un portoghese, un ragazzo di vita, rimorchiato chissa’ dove e chissa’ quando da una persona riservata e discreta come Petrini.
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