Ulisse, di James Joyce - Parte III -

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Ho Letto l'Ulisse di Joyce e Sono Ancora Tutto Intero (a Parte i Rognoni)...
di Domenico D'Amico

Questi non sono di montone (ricetta)

Qual è la primissima cosa che deve fare una persona che ha finito di leggere l'Ulisse di Joyce?
Evitare di montarsi la testa.
Ma si fa presto a dire. In rete, difatti, si trovano consigli disparati su come leggere l'Ulisse evitando di leggerlo.
Non scherzo. Si va dall'applicazione “che permette (solo con il testo inglese) di “leggere” con le dita l’opera: in ben quattro livelli di difficoltà è possibile “sbrogliare” alcune frasi del romanzo e raggrupparle in base a parole chiave. Perfetta per percorrere l’opera tramite le frasi salienti”, all'itinerario paratibetano (si va dal Bloomsday – magari italiano – all'originale Penguin), o anche a un bel programma in dodici passi (leggere Joyce porta notoriamente all'alcolismo), o alla visione del lettore dell'Ulisse come maratoneta (ansimante ma ottimista).
Come dice l'egumeno Cammarota, il rischio che si corre leggendo questo romanzo è di rimpiangere la porzione di vita dilapidata nell'impresa. Non è il mio caso (del resto, a parte per qualche thriller dozzinale, non mi sono mai pentito di aver letto un libro).
Parleremo (anche in video) dell'Ulisse nelle prossime settimane, ma vale la pena, tuttavia, di fare qualche osservazione sulla “difficile lettura” che il libro rappresenterebbe.
Non si tratta, a quanto pare, dell'esitazione del lettore medio di fronte ai classici. Può capitare, suppongo, che chi sia abituato al tono professionale ma “andante” di romanzi come La Ragazza del Treno, si ritrovi spiazzato di fronte all'inizio di Guerra e Pace (ma chi è tutta questa gente? Perché parlano in francese?), tuttavia con Joyce la faccenda è diversa: la sua “illeggibilità” è proverbiale, anzi, leggendaria. Ci dovremmo piuttosto meravigliare se il nostro ipotetico lettore (moderno o modernista che sia) dicesse: “L'Ulisse? Diamine, è talmente scorrevole! Non riuscivo a scollarmi... Volevo sapere come andava a finire!”
No. Il problema del lettore “qualunque” (non quello “ideale” di Eco) è che, leggendo un romanzo di impianto classico (dai Viaggi di Gulliver a Harry Potter), si muove spontaneamente col fine di capire chi fa cosa e quando. Questo, onestamente, nell'Ulisse di Joyce non è che sia impossibile, ma è talmente arduo che, se ci si ostina perseguire un tale obbiettivo, si perde qualsiasi godimento di lettura. In fondo c'è anche chi dice che l'Ulisse non va letto, ma studiato (e lo dice come se fosse una cosa positiva).
Spiazzato e con un accenno di frustrazione fulminante (ai reni), il lettore da marciapiede ha comunque davanti a sé un orizzonte soteriologico: le note.
“Sono salvo! Ecco chi mi dirà chi fa cosa e quando!”
E avrebbe ragione. O forse no, non del tutto.
È davvero indispensabile sapere chi fossero i fratelli Sheares (capitolo 12, Il Ciclope)? Voglio dire, tra i diecimila nomi e riferimenti in cui si imbatte il lettore? Anche perché, mettiamoci l'animo in pace, quando mai potremo afferrare, seppure in parte, l'”irlandesità” del testo?
Probabilmente ha ragione Gianni Celati a eliminare le note e concentrarsi sul “suono” della traduzione, affermando che “non è importante capire tutto: è importante sentire una sonorità che diventa piú riconoscibile proprio quando ci sembra di piombare fra termini incerti – gerghi fossilizzati, chiacchiere da pub, stele di varie epoche” (dall'introduzione all'edizione Einaudi dell'Ulisse). Forse, almeno per il nostro lettore da marciapiede, è il modo migliore per affrontare l'impresa.
Oppure, e qui devo mettere impudicamente in campo una mia idiosincrasia, se proprio non possiamo (e non vogliamo) fare a meno degli apparati, che siano fatti come si deve.
Vi ricordate la prima, storica traduzione, quella di Giulio de Angelis?
Il testo del romanzo e il commento con le note erano in due volumi separati. Si trattava indubbiamente di una strategia per favorire la buona condotta del lettore, perché sarà pur vero che non si legge a tavola, ma è altrettanto sacrosanto che Joyce lo si legga su un tavolo.
Del resto, la prassi di posizionare le note esplicative in coda al capitolo, o addirittura in coda all'intero volume, è fastidiosamente pervasiva. Ma anche questo viene fatto per il benessere emotivo del lettore, che vuole godersi il suo bel trattato sull'homunculus paracelsiano senza note che lo “appesantiscano”.
Anatema! Io esigo le note, ma usate come Dio comanda, cioè così:

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