Storia del ghetto di Roma - di Anna Foa

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di Anna Foa

3.000 ebrei costretti a vivere dentro una frazione del rione Sant’Angelo, 4 isolati in tutto, uniti al resto della città da cancelli. Lo decide papa Paolo IV Carafa nel 1555 e la segregazione sopravvive per 3 secoli, a dispetto degli stravolgimenti della storia, a dispetto della popolazione che continua a crescere fino ad accogliere tutti gli ebrei dello Stato Pontificio, deportati a Roma. Non si poteva uscire dal ghetto di notte, non si potevano svolgere lavori comuni. I banchi di prestito ebraici si chiudono alla fine del Seicento, la vendita degli stracci è una delle poche attività ufficialmente consentite. Delle tante sinagoghe di Roma ne rimane una sola, che accorpa le cinque più importanti in un unico edificio, le Cinque Scole. Se dentro il recinto gli ebrei possono praticare la loro religione, la Chiesa impone però il rispetto di pratiche odiose che mirano a convertirne il maggior numero possibile: ogni sabato tutta la popolazione deve assistere a prediche coatte, senza parlare delle tasse vessatorie che subito decadono per chi si converte. Dopo la breccia di Porta Pia, nel 1870, il ghetto è raso al suolo e così anche il decrepito edificio delle Cinque Scole, sostituito dal nuovo e grandioso Tempio. La pace non dura cento anni. All’alba del 16 ottobre 1943 i nazisti circondano il quartiere e catturano 1022 ebrei, tra cui 200 bambini. Soltanto in 16 tornano da Auschwitz. Nessun bambino è tra loro.

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