Quando nella vecchia Pescara c'era la Trattoria marinara "SPIZZICO" Abruzzo Italy

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Nel cuore del centro storico, via Catone (oggi il tratto di Via Catone che è diventato Via Luigi D'Amico) vanta la più antica pavimentazione stradale tuttora calpestabile in città, forse risalente già al XVI secolo. Queste pietre furono calpestate da intellettuali come Gabriele D'Annunzio, Ennio Flaiano, Basilio Cascella, Filippo Tommaso Marinetti e Trilussa. Oltre ai loro, queste pietre conobbero i passi di innumerevoli popolani, marinai, soldati e prostitute, anch'essi artefici della storia della nostra città.
Il vicolo è costeggiato da casa D'Annunzio e da un altro edificio al cui piano superiore aveva sede nel XIX-XX secolo la leggendaria taverna marinara "da Spizzico", conosciuta in tutto il centro Italia.
(tratto da https://www.circoloaternino.it/index....)
IL RISTORANTE SPIZZICO
Correva l’anno 1930 quando il famoso «Ristorante Spizzico» era all’apice della sua rinomanza, e le guide turistiche lo indi­cavano come «tipico».
La sua fama aveva quindi varcato i confini dell’Abruzzo, ed anche dell’Italia, per cui i forestieri che arrivavano a Pescara an­che da terre lontane, consideravano una tappa d’obbligo il pran­zo in questo locale.
In realtà di tipico questo ristorante aveva, oltre alla cucina veramente squisita a base di pesce, che veniva considerata la migliore di tutta la costa adriatica, le pareti tappezzate di qua­dretti con fotografie, schizzi, caricature, disegni, poesie, tutti con dedica e firma autografa dei più altisonanti nomi della politica, dello sport, del teatro, del cinema, della letteratura, e la ventu­ra di essere ubicato proprio accanto alla casa natale del poeta Gabriele D’Annunzio.[...]
Dalla ringhiera del balconcino pendeva, direttamente sopra i passanti, durante le ore della mattina e fino al momento del­l’apertura del ristorante, assicurato ad un gancio di ferro, un gros‑
so storione o un dentice del peso di una diecina di chili, il che finiva col dare un risalto alquanto pacchiano alla grande inse­gna in lamiera verniciata situata sopra al portone, sulla quale campeggiava la scritta «Trattoria Spizzico».
Per accedere dalla strada al ristorante, che trovavasi al pri­mo, e contemporaneamente ultimo piano, perchè direttamente coperto dal tetto, occorreva imboccare, appena varcato il por­tone, una stretta scala fatta di mattoni grezzi, lateralmente pro­tetta da un passamano di ferro. AI culmine era la porta d’in­gresso, e sopra di essa, in bel carattere stampatello, si pavoneg­giava la seguente strofetta:
Trattoria Spizzico-(Enrico Lauriti)

NON FARCI CASO SE LA SCALA E’ STRETTA,
SE IL CAMERIERE SERVE SENZA GIACCA
SE IL CUCCHIAIO, IL COLTELLO E LA FORCHETTA
NON SON D’ARGENTO, MA DI VILE ALPACCA.
ALLA ZUPPA DI PESCE FA BUON VISO,
CHE’ SPIZZICO LO CUOCE IN PARADISO.

Ormai Spizzico andava sempre più consolidando il suo no­me, man mano che aumentavano le testimonianze che spicca­vano di prepotenza sulle pareti. Ne era diventato un vero colle­zionista, ed era sua costante preoccupazione provvedersi di nuovi trofei ogni volta che nel suo locale entrava un personaggio famoso.
Perciò, quel giorno in cui venne a pranzare nientemeno che il poeta romano Trilussa, accompagnato da alcuni amici, non potè fare a meno di cogliere la buona occasione.
Dopo aver servito agli ospiti le sue specialità più raffinate, si avvicinò al Poeta, e:
— Commendatore, — gli disse — spero vivamente che Lei sia tanto generoso da dedicarmi, in ricordo di questa gradita vi­sita, una delle Sue tanto simpatiche strofette.
Oh, ma certo! — rispose il Poeta — Anzi, ci stavo già pen­sando, e sarà per me un vero piacere. Mi dia l’occorrente per scrivere.
Purtroppo Trilussa, prima di prendere posto a tavola, ave­va attraversato quella porticina 00 per darsi la rituale lavatina alle mani, ed era rimasto spiacevolmente impressionato da un vaso da notte pieno di orina, malauguratamente dimenticato in un angolo. Nulla aveva detto in proposito, ma quella vista non gli aveva certo propiziato l’appetito!
Spizzico, ignaro di questo piccolo incidente, era arrivato con un grande blocco di cartoncini staccabili, del formato adatto per la confezione dei suoi quadretti, e lo consegnò all’ospite con un accattivante sorriso.
Alla fine del pranzo Trilussa gli restituì il blocco, avverten­dolo che nella prima pagina avrebbe trovato la strofetta a lui dedicata, e lo pregò di leggerla soltanto dopo che egli se ne fos­se andato.
Spizzico non nascose la sua felicità, ed all’uscita dei suoi ospiti si profuse in interminabili inchini.
Alzò finalmente la copertina del blocco, ed apparve, scritta nel caratteristico corsivo trilussiano, la seguente strofetta, fir­mata dall’autore:

Spizzico caro, non averla a male
se non ho ben gustato er tuo brodetto,
a causa di quer fetido pitale
in bella mostra dentro ar gabbinetto
e che ha seccato molto, è naturale,
alla triglia, al merluzzo e al gamberetto.

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