Archeologia subacquea per tutti a Porto Cesareo, i relitti delle Colonne e delle Anfore Tripolitane

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Le colonne di marmo “imperiali” in marmo cipollino restano nel mar Jonio, sotto la superficie dell’acqua. Il relitto delle Colonne di Porto Cesareo (Lecce) non è però un sito archeologico subacqueo raggiungibile solo con bombole e brevetto, con capacità tecniche e costi non alla portata di tutti. La nave romana affondata sulla rotta del marmo, diretta probabilmente ad alimentare un cantiere pubblico di prestigio durante l’impero, tra II e III secolo d.C., è sottocosta, raggiungibile con una breve nuotata dalla spiaggia, e si apre alle meraviglie della visita con maschera, pinne e boccaglio.

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Basta questo per farne un sito alla portata di tutti i cittadini? Il Progetto Underwater Muse, che è arrivato a compimento a inizio estate 2022, ci spiega di no, se la possibilità di vivere da protagonisti il relitto non è nota a chi frequenta la meravigliosa costa del Salento. Servono informazioni, musealizzazione del sito (come si è iniziati a fare con una targa subacquea, materiale di supporto come delle card resistenti all’acqua per riconoscere i reperti, una preparazione a riva, come quella presente nella Torre Chianca sulla costa, in vista del relitto, che ospita una mostra divulgativa ma scientificamente aggiornata, e che, ovviamente, fa uso delle tecnologie di realtà aumentata, mai come questa volta letteralmente immersive.

Porto Cesareo rappresenta uno dei siti “pilota” per rendere i luoghi ricchi di archeologia a pochi (spesso pochissimi) metri di profondità facilmente visitabili, con una indimenticabile esperienza sia dei cittadini del territorio che dai turisti. Turisti che la professoressa Rita Auriemma, vulcanica coordinatrice del progetto Underwater Muse, esperta archeologa subacquea dell’Università del Salento, preferisce chiamare “cittadini temporanei”. Perché per lei l’archeologia, in questo caso quella del mare, rappresenta un inviolabile diritto di cittadinanza che tutti devono poter fruire, o meglio, letteralmente vivere. Chiamiamola archeologia pubblica del mare, archeologia partecipata del Mediterraneo, archeologia “immersiva” per il territorio, ma l’importante è l’obiettivo. Far sì che l’Italia ma anche la Croazia, la Grecia, l’intero bacino del Mare Nostrum, possano rendere visibile l’invisibile, far partecipare del fascino senza aloni di mistero e di inaccessibilità. A Porto Cesareo, ad esempio, il relitto delle Anfore Tripolitane a un chilometro di distanza dal relitto delle Colonne, è un’altra grande occasione a portata di snorkeling. Qui l’esempio stesso della prima antropizzazione del pianeta, l’onnipresente ceramica antica, si è rinaturalizzata seguendo la forza inglobante della natura.

È il carico di una nave proveniente dalle rotte commerciali – in questo caso dall’Africa al Mediterraneo settentrionale – anfore contenenti garum, o pesce salato, se non olio – che si è ricostituito, seguendo le caratteristiche del fondale e le indicazioni delle correnti, un una sorta di barriera non corallina ma ceramica, che ospita le creature del mare e tende a riconfondersi con il paesaggio, quasi installazione di land art.

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