La storia di ALLEN IVERSON ||| L'ICONA che ha cambiato l'NBA

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La storia di ALLEN IVERSON ||| L'ICONA che ha cambiato l'NBA

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Il nostro racconto parte da Hampton, in Virginia e con una spolverata di leggenda metropolitana. Ann Iverson sostiene di aver visto, durante il parto, le braccia lunghissime di Allen fin da neonato e di aver pensato, di conseguenza, che sarebbe diventato un giocatore di basket. Allen è il figlio di un amore sbagliato, di quelli che passano ogni tanto nella vita di tutti. Solo che Ann aveva quindici anni ed era rimasta incinta al primo colpo. Il padre, Allen Broughton, non aveva la minima intenzione di farsi carico di un onere così grande ed era scappato via. L’adolescenza è complicata: la madre beve, si droga e frequenta uno spacciatore con cui mette al mondo due figlie, Brandy e Elisha, di cui si fa carico spesso Allen. Iverson cresce da padre e senza un padre.
Gioca nei playground del quartiere per soldi: se vince mangia, se non vince non mangia.

«C’erano volte in cui Allen non sapeva nemmeno quando sarebbe stato il suo pasto successivo. Parliamo di un ragazzo che non poteva farsi la doccia a casa perché non c’era l’acqua: nessuno pagava le bollette»
(Mike Bailey)

Scopre però di aver un grandissimo talento sia nel football, nettamente il suo sport preferito, sia nel basket.
Il rendimento scolastico è disastroso e viene aiutato da 3 figuri fondamentali nel suo percorso: coach Bailey, coach Kozlowski, rispettivamente gli allenatori della squadra di basket e di football della Bethel High School e Gary Moore, un amico della madre che, comprendendo il suo talento, decide di stargli accanto, cercando di proteggerlo dalle tentazioni che lo circondano.

«Lo avete visto giocare in quello che non è lo sport in cui dava il meglio. Allen è probabilmente il miglior giocatore di football che io abbia mai visto giocare nella mia vita».
(Gary Moore)

Iverson sembra un prodigio pronto a sbocciare: guida le squadre della Bethel alla vittoria del campionato statale sia nel football, sia nel basket nel suo anno da junior. I college iniziano a interessarsi a lui e la sua vita sembra poter prendere una svolta importante, ma accade qualcosa, come in tutte le grandi storie che si rispettano.

Nella notte di San Valentino del 1993 Iverson finisce in una rissa in una sala da Bowling e viene arrestato. La sua versione è semplice: un ragazzo bianco gli ha rivolto insulti razzisti e a quel punto lui aveva risposto, dando il via a un corpo a corpo dal quale era stato trascinato via da un suo amico, evitando in questo modo che finisse nella rissa vera e propria che si era scatenata successivamente. Ma tutti i presenti nella sala da bowling avevano fatto il suo nome e in aula nessuno crede alla sua versione. Iverson viene riconosciuto colpevole di rissa aggravata e incitazione al linciaggio.
L’accusa ha vita facile nel tentativo di demolire la figura di un ragazzo ritenuto da tutti difficile. Vengono chiesti 60 anni di carcere. La sentenza di primo grado è di 15, con 10 anni di sospensione. Allen Iverson ora, nel momento in cui il futuro per la prima volta nella sua vita sembrava sorridergli, deve scontare 5 anni in carcere.
Nel giro di qualche settimana, tutto l’interesse dei college nei suoi confronti svanisce. Iverson ha 18 anni, se dovesse scontare tutta la pena uscirebbe di prigione a 23. La sua carriera sportiva è praticamente conclusa.

«Ho cercato di usare l’esperienza del carcere in maniera positiva. Non ho mai mostrato alcuna debolezza, provando a rimanere forte fino al momento del rilascio».
(Allen Iverson)

Nel gennaio 1994 il governatore Wilder, mosso da un’anomalia giudiziaria, offre ad Iverson una seconda occasione e decide di concedergli la grazia.
A questo punto Ann Iverson è sicura: l’unico a potergli dare un’altra chance è John Thompson, il coach della squadra di basket dell’università di Georgetown. Ha la fama del sergente di ferro, ma anche dell’uomo che è pronto a rigenerare talenti apparentemente dannati. Da giocatore aveva vinto due titoli con i Boston Celtics, da allenatore aveva portato gli Hoyas al titolo nel 1984, allenando Patrick Ewing e Reggie Williams: era stato così il primo allenatore nero a portare un college alla vittoria in NCAA.
Il coach si convince e visita Iverson in carcere, gli concede una speranza ben prima della grazia.

«Quel giorno, ho visto l’amore di una madre preoccupata per la vita del proprio bambino»
(John Thompson)

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