1915: LA PSICOSI DEI PRETI-SPIA SI DIFFONDE NEL REGNO D’ITALIA
«Quel prete è una spia degli austriaci!» Un diarista rimasto ignoto scrive: «Ieri sera fu qui condotto, per essere internato il Cappellano d'Aquileia, Don Spessot (qui detto cooperatore) dopo l'internamento dell'arcipretete Don Giovanni Meizlik, quest'amico continuava a servirci per le feste. È un prete giovanissimo che terminò i suoi studi l'anno scorso».
A partire dagli inizi del 1915, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il paese viene attraversato da un’ondata di isteria. Si vedono spie dappertutto. Tra voci e leggende metropolitane, a farne le spese sono soprattutto i preti cattolici che spesso si sentono rivolgere l’accusa di essere agenti austriaci e ci tramare ai danni dell’Italia. Come prove a carico vengono tirati in ballo oggetti di uso comune rinvenuti nelle canoniche e gabellati di volta in volta per misteriose lampade da segnalazione o per macchine fotografiche.
Oggi ci occupiamo di spie (vere o presunte) che sarebbero finite di fronte al plotone di esecuzione. A partire dal 1915, si diffonde nel paese la psicosi dello spionaggio. A farne le spese sono soprattutto molti religiosi cattolici. Siamo nell’Italia della breccia di Porta Pia e del «non expedit», l’atto, emanato da Pio IX nel 1874, con il quale la Santa Sede proibiva nei fatti ai cattolici di partecipare alla vita politica del Regno d'Italia. Il provvedimento sarebbe stato revocato ufficialmente solo nel 1919, a guerra finita, da Papa Benedetto XV. Intanto però, chi meglio di un rappresentante della Chiesa poteva fungere da perfetta spia per la cattolicissima Austria? Invariabilmente le accuse di spionaggio a danno dei religiosi finivano per rivelarsi bufale mentre la stampa cattolica riusciva solo a denunciare un fantomatico «complotto antireligioso». Una situazione che ben presto assunse i tratti di un’amara commedia.
Destinata a durare per qualche mese, la psicosi del prete spia iniziata a maggio del 1915, proseguì più o meno fino a settembre di quell’anno. Giornali anti-clericali, poliziotti, militari e persone qualunque erano certe di avere in mano le prove del tradimento ordito dal clero cattolico, che nell’ombra, sarebbe segretamente stato fedele a Vienna e non al Sovrano d’Italia e al Belpaese.
Tutto comincia l’8 giugno 1915, quando i quotidiani di mezzo mondo, americani, francesi e britannici scrivono che cinque frati domenicani di un convento italiano, affacciato sul mare di Bari, sono stati arrestati in quanto spie austriache. Misteriosi segnali luminosi partiti dall’edificio che li ospitava avrebbero provocato l’irruzione dell’ufficiale che li aveva scorti. Questi, un tenente, accompagnato da due soldati, avrebbe trovato sul posto mappe militari e documenti ma soprattutto, un grande riflettore per segnalazioni.
Le fake news non sono un’invenzione moderna e molto spesso i giornali dell’epoca travisano a bella posta le notizie per sostenere le proprie tesi. Alla fine l’episodio di Bari si rivela una bufala colossale e i frati vengono rilasciati con tante scuse. I documenti non esistono, le mappe militari non sono altro che una banale cartina turistica del Nord Italia e il grande riflettore per segnalazioni è soltanto la lanterna magica che serve per proiettare immagini colorate all’Oratorio.
Ma La vicenda che - forse più di tutte - si fa largo sulla stampa, viene portata alla ribalta della cronaca dal «Secolo» di Milano, quotidiano spesso impegnato scontarsi dialetticamente con la stampa cattolica. Il giornale riferisce dell’arresto del parroco di Caporetto con l’accusa di essere una spia al soldo degli austriaci. Ad arrestarlo sarebbero stati i nostri soldati dopo averlo scorto dirigere dal campanile il fuoco di controbatteria austro-ungarico.
La notizia viene ripresa, montata e arricchita di particolari sempre nuovi da altre testate che arrivano addirittura a raccontare che il religioso sarebbe stato passato per le armi. Il settimanale «La Guerra Italiana» titola: «Un prete spia a Caporetto. Il telegrafo sotto l’altare! La fucilazione. Un altro ribaldo – scrive il periodico -, un prete fu scoperto in flagrante delitto di spionaggio ed esemplarmente punito secondo le inesorabili leggi di guerra». Ma il fatto era avvenuto sul serio?. Tra una smentita e l’altra, finalmente, il 25 giugno, un cronista del «Corriere del Friuli» riesce a raggiungere Caporetto e a verificare che il prete-spia non esiste. Il sacerdote titolare della parrocchia incriminata ha settantuno anni ed è là dove è sempre stato. Della spia non vi è alcuna traccia. La notizia è una clamorosa invenzione..
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