La lezione si apre con l’annuncio della visita di *Francesco Tieri**, autore di un libro sulle moschee in Italia, e con la proposta di un’uscita didattica a **Torpignattara**, utile per esplorare sul campo la **diversità religiosa urbana**. Si anticipano anche i contenuti delle lezioni conclusive, che includeranno la lettura di **Sahlins* e una riflessione sui **riti nella modernità**.
La lezione vuole anche condurre alla lettura che faremo del saggio di *Clifford Geertz* La religione come sistema culturale (1966), che segna una svolta nell’antropologia della religione: la religione non va letta come funzione di altre strutture (politiche, economiche, psicologiche), ma come **sistema simbolico autonomo**, con una propria coerenza interna.
A questa posizione Geertziana si contrappone la critica di **Talal Asad**, ispirata al pensiero di **Michel Foucault**. Per Asad, la religione non è un oggetto universale ma un effetto del potere che istituisce le categorie. In questa scia si inserisce anche **Judith Butler**, per la quale il genere è una pura performance, senza ancoraggi ontologici o materiali. Questo costruttivismo radicale, oggi dominante, viene criticato in aula per aver reciso ogni legame tra **segni, corpi e mondo**.
La lezione propone invece di difendere un **triangolo epistemologico fondamentale**: **mondo, potere, linguaggio**. L’esperienza concreta, la dimensione materiale del mondo, non può essere espunta dall’analisi sociale. Le culture attribuiscono significati diversi a elementi comuni della realtà (come la bellezza o l’età), ma ciò non toglie che esistano **differenze reali**, che richiedono di essere interpretate, non negate.
Il religioso è descritto come *spazio narrativo e cognitivo* dove *simboli, miti e riti* articolano l’esperienza umana. I *simboli* sono oggetti che veicolano concetti, i *miti* sono storie che danno forma e coerenza a quei concetti, i *riti* sono gesti che li rendono operativi nel mondo. Il religioso non è una credenza, ma una modalità **culturale di pensiero**.
Attraverso *Claude Lévi-Strauss**, il mito viene inteso come **pensiero speculativo**: esso non serve a risolvere problemi pratici, ma a rendere tollerabili opposizioni irrisolvibili (vita/morte, natura/cultura). La narrazione diventa un modo per **mediare l’inconciliabile**. Anche autori come **Malinowski* e *Radcliffe-Brown* vengono evocati: il primo sottolinea la funzione giustificatrice del mito; il secondo, la sua valenza cognitiva.
Il riferimento a *Vladimir Propp* amplia il discorso sulle *strutture narrative**. Come la fiaba, anche il mito istituisce modelli di comportamento, e l’**eroe mitico* diventa figura paradigmatica di soluzione a tensioni culturali.
Una parte importante della lezione è dedicata alla riscoperta del *totemismo**, grazie a Lévi-Strauss (*Il totemismo oggi*). Il totem non è un residuo arcaico, ma un **dispositivo cognitivo e sociale* che collega gruppi umani e natura. Il pensiero totemico articola i rapporti di **parentela, scambio e cosmologia**, costruendo significati attraverso relazioni tra esseri (l’aquila, il salmone, l’acqua, il cielo) e la loro posizione simbolica nel mondo.
Il *rito* viene definito come *azione simbolica e performativa**. Mentre il mito racconta, il rito agisce. Cambia lo status degli individui, accompagna le transizioni, organizza il tempo e la vita sociale. Seguendo **Arnold van Gennep**, si analizzano i **riti di passaggio* come sequenze in tre fasi: separazione, liminalità, reintegrazione. Il rito serve a governare i cambiamenti critici, riducendo l’ansia e rendendo *narrabile* la trasformazione.
In chiusura, si presenta la tesi di **Adam Seligman**: la modernità ha ridotto la forza del rito, sostituendolo con l’ideologia della **sincerità emotiva individuale**. Mentre nelle società tradizionali l’importante era **fare bene il gesto**, oggi si pretende che il gesto coincida con lo stato d’animo soggettivo. Questa perdita di forma genera fragilità sociale e una crescente pressione psicologica sugli individui.
L’intero percorso invita a riconoscere il religioso non come contenuto dottrinale, ma come *linguaggio culturale universale**, una modalità tipicamente umana di costruire senso. Mito, rito e simbolo non sono residui del passato, ma strumenti attuali per **orientarsi nel mondo* e per costruire appartenenza, coerenza e trasformazione.
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