Dall'Amleto (da Shakespeare a Laforgue) di Carmelo Bene

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Oh, perdono, perdono, non l'ho fatto apposta!
Ordinami qualsiasi espiazione!
Ma sono così buono,
ho un cuore d'oro, io
e non ce n'è più come il mio.
Tu mi capisci, non è vero?

Non chiedo nulla a nessuno, io. Sono senza un amico.
Non ho un amico che sappia raccontare la mia storia,
un amico che mi preceda dappertutto
per evitarmi quelle spiegazioni che m'ammazzano.
Non ho una che sappia gustarmi.
Ah, sì un'infermiera!
Un'infermiera per amor dell'arte,
che conceda i suoi baci solamente ai moribondi,
a gente in extremis,
e che perciò non possa vantarsene. Macché!
Una volta a casa, uomini e donne a coppie
ammireranno i miei scrupoli sull'esistenza,
ma non li imiteranno nemmeno per sogno,
e non se ne vergogneranno affatto a quattr'occhi,
da uomo amato a donna amata, in famiglia!
Più tardi mi s'accuserà d'aver fatto scuola.
Come sono solo!
E quest'epoca non c'entra nemmeno un po'.
Voglio tornarmene fra la brava gente di campagna
Voglio sposare una povera ragazza.
Voglio sposarmi, sì!
Tra tutte le mie idee questa senz'altro
sarà stata la più amletica.

Non posso vedere le lacrime delle ragazze! Sì,
perché far piangere una ragazza
è più irreparabile che sposarla!
Perché le lacrime son tutta infanzia.
Perché le lacrime versate manifestano
semplicemente una pena così profonda,
che tutti gli anni d'incallimento sociale
e ragionevolezza scoppiano e affogano
in quella fonte riaperta dell'infanzia
della creatura primitiva, incapace di male.
Si fa tardi. A domani i baci e le teorie...

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