CARLO SINI
Metafisica, Nichilismo, Tecnica
HEIDEGGER NEL PENSIERO DI SEVERINO
Metafisica, Religione, Politica, Economia, Arte, Tecnica
Congresso Internazionale - Brescia 13-15 giugno 2019
«Che ci siano delle ‘verità eterne’ potrà essere concesso come dimostrato solo se sarà stata fornita la prova che l’Esserci [Dasein] era, è e sarà per tutta l’eternità. Fin che questa prova non sarà stata fornita, continueremo a muoverci nel campo delle fantasticherie» (Heidegger, Essere e tempo, § 44, c, trad. it. di Pietro Chiodi). E per Heidegger questa prova manca, anche per tutti gli enti del mondo diversi dall’Esserci.
Ciò che nei miei scritti è chiamato “la struttura originaria del destino” implica con necessità l’eternità dell’ente in quanto ente, ossia di ogni ente (dove l’eternità è l’impossibilità che un qualsiasi ente che è sia stato nulla e torni a esser nulla).
L’“essere” di Heidegger è “nulla dell’ente”, ossia non è nihil absolutum. Ma per lui nemmeno l’ente, quando è, è nihil absolutum. Ciò significa che l’“essere” e l’ente hanno in comune il non essere un nihil absolutum e che quindi l’“essere” non può essere il “nulla dell’ente”. Questa dimensione comune include entrambi i termini della “differenza ontologica” (“essere”, ente) e non viene esplorata da Heidegger. È la dimensione dell’essente in quanto essente – che non è nemmeno la dimensione dell’ente in quanto ente aristotelico, ossia dell’ente che è quando è. La struttura originaria del destino è l’apparire dell’esser sé dell’essente, ossia di ciò la cui negazione è autonegazione.
L’“essere” di Heidegger è svelamento e insieme velamento, nascondimento. Che lo svelamento sia nascondimento non può significare per Heidegger che ciò che rimane nascosto sia nulla, ma che, pur nascosto, esiste. Ma questa esistenza non può essere un contenuto fenomenologico – e nei testi di Heidegger è assente la prova che ciò che è nascosto esiste: essi presuppongono soltanto la tesi che se qualcosa si manifesta deve esistere tutto ciò che non appartiene al contenuto manifesto.
Si presenti come la libertà dell’Esserci affermata in Essere e tempo, o come libertà dell’“essere”, affermata dopo la “svolta”, nemmeno la libertà – va osservato – può essere un contenuto fenomenologico. In base a che cosa è affermata da Heidegger? Nell’intervista allo Spiegel, parlando del Dio che ci può salvare e aggiungendo che ciò può anche non avvenire, sembra che alluda alla libertà dell’“essere”.
Ciò da cui solo un Dio ci può salvare è l’annientamento o la tecnica? È tutti e due. Comunque la salvezza viene dalla dimensione ontica, sia pure diversa da quella metafisicamente intesa; e in questo senso resta confermato il progetto iniziale di Essere e tempo che sospende il giudizio sulla configurazione della dimensione ontica (esistenza di Dio, immortalità dell’anima, ecc.).
Per Heidegger la “filosofia” finisce nella tecnica, vi ha compimento e non può più modificare il mondo e dare salvezza o perdizione: ormai è la tecnica a padroneggiare tutte le cose. Sennonché la tecnica domina perché le forze che si illudono di servirsene rinunciano ai loro valori; e la rinuncia è effettiva quando ciò che nei miei scritti è chiamato “il sottosuolo filosofico del nostro tempo” mostra che quei valori non sono verità assolute, perché la verità assoluta è morta. La “filosofia” (che è l’essenza dell’Occidente) modifica il mondo a tal punto da determinare la dominazione “di diritto” della tecnica.
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