Il nucleare costa, ma abbassa le bollette. Il fisico Luca Romano alla Camera

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Il fisico Luca Romano, fondatore de L'avvocato dell'Atomo, ha cercato in pochi minuti di spiegare alla Camera perché è sbagliato parlare solo di costi delle fonti energetiche, senza parlare di prezzi.
Le obiezioni sul nucleare sono di solito sempre le stesse, e per quelle c'è il libro*. Quello che non si sente mai dire quando si trattano questi argomenti, è che il COSTO delle fonti energetiche è una variabile del tutto irrilevante per i cittadini. Cittadini che in bolletta pagano un PREZZO deciso da meccanismi di domanda e offerta, piuttosto che da costi di produzione.
Per capire la necessità del nucleare in un sistema decarbonizzato, serve capire l’effetto di un’elevata penetrazione di energia rinnovabile nel mix elettrico.
I prezzi dell’energia vengono decisi dai mercati elettrici ora per ora. Siccome l’output rinnovabile non è programmabile, succede che in determinati momenti la produzione rinnovabile saturi la domanda. In quel momento il prezzo dell’energia va a zero, o in alcuni paesi addirittura negativo: il costo delle rinnovabili può anche essere basso, ma in quel momento il valore dell’energia che producono per il mercato è zero, e quindi il prezzo è zero. Ma nessuno installerebbe rinnovabili se non venisse retribuito, e quindi occorre incentivare i produttori; questi incentivi non hanno nulla a che vedere coi costi di produzione, anche perché occorre retribuire anche l’energia che va in curtailment, cioè che viene buttata perché sovraccaricherebbe la rete.
Cosa succede quando le rinnovabili smettono di produrre? Occorre attivare degli impianti che entrano a sopperire la mancanza di energia rinnovabile, ma di nuovo: nessun produttore installerebbe un impianto per poi farlo lavorare solo la sera e/o quando non c’è vento, quindi occorre incentivarlo, pagare la reperibilità.
Ecco che quindi si ricorre al meccanismo di incentivazione chiamato “capacity market”, che ancora una volta non figura nei costi di produzione, ma appesantisce le bollette italiane, oltre che essere a tutti gli effetti un incentivo ai combustibili fossili.
Ma non basta: questi impianti lavorano in condizioni di alta domanda (picco serale) e bassa offerta (scarsa produzione rinnovabile). Indipendentemente dai costi di produzione questo sbilanciamento domanda/offerta fa salire i prezzi, a volte li fa proprio esplodere come in questo caso in Texas.
Col nucleare cosa cambia? Avendo una quota fissa di energia pulita e prezzata in maniera stabile, si riducono gli sbilanciamenti tra domanda e offerta; non è più necessario sovrainstallare rinnovabili per produrre anche in condizioni di efficienza minima, e quindi diminuisce il ricorso al curtailment. Diminuisce la necessità di capacity market, dal momento che questo dovrà coprire solo la parte di domanda eccedente la quota di produzione nucleare. I prezzi dell’elettricità restano stabili.
Lo vediamo in California, dove per avere rinnovabili che coprono al 100% la domanda per appena 5 ore devono pagare l’elettricità più cara del 70% rispetto alla media USA, e le rinnovabili continuano a coprire meno del 50% della domanda per il 60% del tempo.
Lo vediamo in Europa, dove i colossali investimenti in RES della Germania non hanno prodotto una diminuzione dei prezzi in bolletta, bensì un aumento: oggi le imprese tedesche fanno fatica a stare sul mercato, le industrie energivore chiudono e il paese è in recessione economica, e chiuderà anche il 2024 in negativo secondo l’FMI.
Viceversa la Francia gode di bollette basse, energia tra le più pulite del continente, e ha largamente superato la Germania per capacità di attrarre investimenti esteri - tra le altre cose anche ArcelorMittal finirà col fare il famoso acciaio green a Dunquerque e non a Taranto.
Il costosissimo reattore nucleare di Olkiluoto, in Finlandia, ha dimezzato il prezzo che i finlandesi pagano in bolletta per l’elettricità.
A noi, che per troppo tempo non abbiamo mai avuto un programma energetico chiaro, resta la scelta di quale modello seguire.
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