"I Promessi Sposi" di Salvatore Nocita. La riflessione di Andrea Monda sulla terza puntata

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Anche in questa terza puntata possiamo indicare tre parole chiave: responsabilità, peccato, paura.
La vicenda di Gertrude la monaca di Monza domina la terza puntata: emerge la grande finezza letteraria di Manzoni in particolare nell'attenzione alla psicologia dei personaggi. Seguendo la storia di Gertrude Manzoni descrive la progressiva perdizione di questa donna che frana lentamente verso il baratro di una vita perduta. L'incontro tra Egidio e Getrude ricorda il peccato di Davide con Betsabea: “Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Getrude qualche volta passare o gironzolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall'empietà dell'impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose”.
C'è quest'ozio, questo torpore in cui cresce la resa al Male, da questo punto il Bene appare come un risveglio, un richiamo alla coscienza che, interpellata, può rispondere. I promessi sposi come romanzo della responsabilità e della coscienza, dell'inquietudine, a cui si può rispondere anche mettendola o mettendosi a dormire (si pensi alle tante “notti”, di Getrude, di Don Abbondio, dell'Innominato..). La vita è una lotta, un duello: il duello tra Gertrude e i genitori, il duello interiore tra la grazia e la rabbia, Manzoni non risparmia sofferenze al lettore, scrivendo un libro che tormenta, che non lascia in pace il lettore che soffre insieme ai personaggi della storia. “Il libro è l'unico essere che ha un cuore che batte nel petto di un altro”, come dice C.S.Lewis: il lettore si ritrova, “legge” se stesso. Aggiunge Carlo Bo: l'esperienza della letteratura è come un ponte che mette in comunicazione due abissi: quello dello scrittore con quello del lettore. Chi legge questo libro ne rimane “toccato”, perchè è un libro “abissale”.
In parallelo scorrono le vicende di Gertrude, tragica vicenda di una giovane donna che cade in un vero abisso e quella anch'essa drammatica di Renzo, le cui disavventure non cessano, ed addirittura egli diventa un fuorilegge, su cui pendono avvisi di taglia: l'umile e semplice Renzo che spinto dalla sua “lieta furia dei vent'anni”, animato dalle migliori intenzioni viene scambiato per un pericoloso sovversivo... Ancora una volta pietà e umorismo s'intrecciano nella narrativa del Manzoni.
Ma torniamo a Gertrude, questa donna “sventurata” che risponde: la vita è innanzitutto una risposta, di fronte al destino che prende l'iniziativa e incalza l'uomo, ogni essere umano si sente chiamato, e sente di dover rispondere, e il punto dunque è “a Chi rispondere?”. Come ebbe a dire Benedetto XVI: “La vita cristiana comincia con una chiamata e rimane sempre una risposta, fino alla fine”. Se la vita è una risposta, in gioco c'è la responsabilità dell'uomo, quella capacità a rispondere che rende l'uomo quello che è, e ne fonda e custodisce la dignità. Gertrude, vittima del suo tempo (e dell'avidità di ogni tempo) – il Manzoni non nasconde costumi e malcostumi di un certo cristianesimo solo formale e ipocrita, freddo e arido – ebbene Getrude spende male la sua responsabilità, rispondendo ad una chiamata a cui non doveva rispondere e si perde, si arrende al peccato, ma ancora una volta si avverte il realismo e la pietà dell’autore in quell'aggettivo: la sventurata.
In questa parte centrale del romanzo tutta l'avventura di Renzo e Lucia sembra piuttosto una sventura, la trama sembra far emergere il trionfo (apparente) del male: la sopraffazione da parte del padre di Gertrude; le trame e gli imbrogli di Rodrigo e Attilio, che però sono in realtà “pesci piccoli”, devono rivolgersi ad uno più grosso di loro, l'Innominato.
L'Innominato e Gertrude: un'altra straordinaria coppia di personaggi, un po' come don Abbondio e Fra' Cristoforo: anche qui la stessa dinamica che abbiamo visto all'inizio del romanzo, e che vedremo fino alla fine: la grazia arriva e passa tra le storie delle persone, alcune si lasciano toccare e cambiano, altre si lasciano solo sfiorare, ma sono sopraffatte dalla paura, non si aprono al lavoro della grazia (un lavoro fatto anche di tormento e di lacerazione interiore, di desolazione ma anche di consolazione). Cristoforo cambierà, non così Abbondio, l'Innominato cambierà, lo vedremo nella quarta puntata, non così Gertrude che, come e più di Abbondio, sprofonderà progressivamente nel suo abisso di paure, sentimento e risentimento.
Con l'arrivo dell'Innominato, questo grandioso e pauroso personaggio il romanzo tocca il punto più alto, dal punto di vista del Male, ma anche l'inizio della crisi e il punto di svolta, nel buio splende una piccola luce: Lucia.

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