CHE ANGOSCIA!
Video del 2010
(In sintesi)
L’angoscia “non mente”, compare quando la nostra energia psichica (libìdo) non viene investita adeguatamente in un progetto che sentiamo nostro e che ci entusiasma.
Per JUNG l’angoscia precede la formazione di un simbolo. L’anima produce angoscia e l’angoscia partorisce simboli. Il simbolo permette alla libido di prefigurarsi uno scopo, rappresentando un progetto. Il simbolo è espressione della nostra capacità progettuale e quindi creativa.
(Approfondimento)
Non a caso l’angoscia è accompagnata da una sensazione inesplicabile, che ha a che fare con il nostro stesso modo di guardare le cose, che sta cambiando e richiede una ristrutturazione immaginale. Richiede cioè dei simboli nuovi, perché la Psiche sta cercando una intelaiatura immaginaria per sostenere un nuovo Soggetto che non è più solo l’Io, ma è la relazione stessa tra io e inconscio. L’angoscia in qualità di evento inclassificabile ha scalzato l’io costringendolo a relazionarsi con delle forze perturbanti, con dei contenuti Ombra.
Quindi la vecchia intelaiatura dell’io è venuta meno, non essendo in grado di supportare questa integrazione di contenuti opposti fra loro. L’io è rimasto interdetto, si è come sospeso, destrutturato, perciò il soggetto è costretto a fare i conti con l’inatteso che da sempre soggiorna in lui, senza che egli se ne sia mai accorto. E qui compare il Simbolo nuovo, con la sua sintesi odorosa di verità. Infatti l’angoscia è portatrice di una verità non detta ancora con le parole, una verità forse indicibile ma che vuole emergere nonostante l’io ne abbia paura. Ecco perché, come dice LACAN, l’angoscia è ciò che non inganna, in quanto rivela al soggetto una verità misconosciuta, gettandolo in una sorta di incatenamento da cui non può fuggire più attraverso le strategie dell’auto-inganno. Perché la menzogna è stata smascherata.
Quindi, l'angoscia cosa fa? lacera il soggetto per mostrargli le menzogne che si è detto. L’angoscia è come i ferri chirurgici che feriscono per guarire. Quello ferito è l’io che vive l’evento angoscia come qualcosa che irrompe nella sua vita, scompaginando un determinato assetto di realtà, mettendo a soqquadro la sua concezione del mondo e mettendo in scacco anche il linguaggio. Di fronte all’angoscia l’io resta muto. Dove l’io resta muto, parla l’immagine. A questo silenzio del linguaggio corrisponde la creazione del simbolo nuovo, partorito dall’inconscio, mentre l’io è eclissato.
Tale condizione è propedeutica alla formazione di nuove immagini, che nascono grazie al vuoto che l’assenza di linguaggio ha generato. L’immaginazione gioca un ruolo importante nella fase ricostruttiva, nella quale le immagini inconsce emergono proprio perché l’io è stato decostruito, costretto a lateralizzarsi dall’angoscia stessa, come fa notare JUNG, (dicendolo in modo diverso).
Cosa fa lo psicoterapeuta con questa angoscia? Mira a creare un orizzonte di senso, per rendere significativo tutto quello che accade. Essere dentro un orizzonte di senso è già una strategia contro il dolore, perché significa far dire all’angoscia la verità che trattiene. Ecco perché lo psicoterapeuta non si limita ad "abitare" il piano semantico" della parola, ma la lascia "esplodere" usando tutti i possibili livelli di significazione, li fa emergere dal paziente stesso, che è portatore del suo irriducibile e particolare desiderio.
Diciamo che il nostro intero percorso esistenziale può essere letto alla luce del desiderio, che viene ricercato dall’angoscia, con la sua devastante sensazione che tutto ciò che abbiamo vissuto in precedenza sia stato soltanto un cumulo di errori e una lista di occasioni perdute. Ed ecco che l’angoscia tinge di grigiore la vita per stimolarci a cambiarla, suscitando in noi nuove visioni. L’angoscia svuota il presente per mostrarci cosa invece ci renderebbe fieri, l’angoscia ci blocca per evidenziare la nostra inerzia ideativa, ci rende ciechi per farci guardare una ricchezza che si trova altrove, l’angoscia ci fa piombare nel silenzio per farci ascoltare la nostra vera voce interiore. A questo punto possiamo dire, che l’anima, per fare coscienza produce angoscia, così può identificare il suo autentico desiderio.
DOSTOEVSKIJ diceva: “temo una cosa sola, di non essere degno del mio tormento”.
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