L'antica centrale idroelettrica nello stabilimento elettrochimico abbandonato

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La spettacolare esplorazione di oggi riguarda una vecchia fabbrica di carburo di inizio Novecento, sita nella valle del Nera, vicino a Papigno. Lo stabilimento è vastissimo, e per mancanza di tempo la nostra attenzione si è concentrata principalmente sull'antica centrale idroelettrica ed alcuni capannoni dove sono visibili dei macchinari dell'epoca ancora in buone condizioni di conservazione. Purtroppo gli ambienti della centrale sono molto degradati, ed in certi casi pericolosi per la possibile caduta di materiali dal tetto, in certi punti crollato e pericolante. Anche il pavimento presenta molte insidie, come buche e aperture dalle quali si può facilmente cadere nel vuoto.

Lo stabilimento è stato inaugurato nel 1901, e fu il principale impianto della Società
Italiana del Carburo di Calcio Acetilene e Altri Gas, costituita a Roma il 2 maggio 1896,
la quale concentrò in questo impianto la produzione di tale sostanza chimica dalla quale
si ricava il prezioso gas acetilene, utilizzato nel passato nel campo dell'illuminazione
pubblica e privata, e anche attualmente, per le saldature.

Nello stesso periodo venne attivata una grande centrale, nella quale fece convergere
tutte le concessioni idriche della società. Nel 1911 la Carburo inaugurò la seconda centrale di Papigno, una perla tecnologica e architettonica sotto molteplici aspetti. Innanzitutto la sala macchine fu ricavata scavando per molti metri la roccia, cosicché era seminterrata, allo scopo di aumentare il salto utile, circa 190 m, inoltre era dotata di due officine distinte, la Velino alimentata dalle acque dell'omonimo fiume e la Pennarossa in cui erano utilizzate quelle del Nera. Complessivamente le strutture avevano la caratteristica forma di una grande V, al vertice della quale fu realizzato un vero e proprio centro di controllo in grado di gestire le cabine di trasformazione e delle centrali di Collestatte, del vecchio impianto di Papigno "Ganz", di quella di Cervara e delle due sale adiacenti.

La sala Velino utilizzava due turbine Francis ad asse orizzontale fornite dalla Riva, della potenza di 7.000 kW ciascuna, sviluppata facendo uso di 5 m3/s per gruppo, mentre nella Pennarossa i due gruppi idroelettrici, da 7.000 kW, nella configurazione a quattro turbine Riva orizzontali accoppiate per ognuno, il salto utilizzato era di 37 m, con una portata di 27 m3/s. Come si nota, la potenza totale toccava i 28 MW ma negli anni successivi con l'installazione di altri turbo alternatori arrivò alla soglia dei 70 MW.

L’energia non utilizzata nei processi elettrochimici veniva venduta. Ma è molto interessante sapere che, attraverso i grandi forni elettrici dove avvenivano le reazioni chimiche per ottenere il carburo, veniva anche regolata la produzione elettrica delle 6 centrali idroelettriche della zona, le quali in caso di scarso assorbimento da parte di altre utenze, scaricavano l'energia in eccesso proprio nei potentissimi forni fabbrica. Alla produzione di carburo di calcio si aggiunse nel 1907 quella della calciocianamide, un fertilizzante utilizzato in agricoltura derivato con poca complessità dal carburo.

La domanda di carburo decrebbe negli anni successivi per la comparsa sul mercato di altre società concorrenti che furono in grado di praticare prezzi competitivi, con un aggravamento della già precaria situazione gestionale dello Stabilimento di Papigno. Nel 1930 la capacità produttiva aveva una consistenza di 100.000 t/anno di carburo e 85.000 t/anno di cianamide, compatibile con un buon indice di economia di scala. Con l’inizio delle operazioni belliche degli anni quaranta e l’entrata in guerra dell’Italia si palesarono forti difficoltà di rifornimento di carbone, la produzione fu radicalmente ridimensionata fino alla sospensione del 1944 indotta anche dai bombardamenti e dalle predazioni operate dalle truppe tedesche in ritirata.

La ripresa produttiva del 1945 si dovette confrontare con una crescente crisi del mercato del carburo e della cianamide, che ebbe uno dei suoi momenti di picco negli anni Sessanta. La espropriazione del settore elettrico a seguito della promulgazione della legge sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica del 6 dicembre 1962 inferse un altro colpo decisivo, tanto che nel 1964 lo stabilimento fu soccorso dalla grande e magnanima mano dello Stato, attraverso l’acquisizione da parte della Terni Industrie Chimiche, già del gruppo FINSIDER. Nel 1967 si ebbe il passaggio ad un altro ente “di soccorso”, l’ENI.

Nonostante l’enorme bisogno di fertilizzanti chimici ad uso delle nostre risaie e nonostante un prezzo di vendita ancora piuttosto concorrenziale, lo stato scelse di favorire l’omologo settore chimico francese togliendo di mezzo il nostro quantomeno scomodo competitore e nel 1973 fu decisa la chiusura Stabilimento Elettrochimico di Papigno, che cessò definitivamente la sua attività.

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