Conclusione della terapia - Intervista a Valeria Ugazio

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Conclusione della terapia: quali caratteristiche deve avere una terapia per considerarsi conclusa "felicemente" ?

In questa intervista Valeria Ugazio ci parla degli indicatori necessari per considerare una terapia conclusa, di quali sono gli ostacoli che ne impediscono la buona riuscita, e di cosa fare nel caso delle terapie concluse non andate a buon termine.

Più nello specifico, ecco il minutaggio dell'intervista con i principali argomenti trattati:
0:00 introduzione
0:46 le principali caratteristiche di una terapia conclusa bene
2:52 la difficoltà del processo di guarigione nelle diverse terapie
5:12 quali sono gli ostacoli che impediscono la buona riuscita della terapia
6:14 come concludere le terapie in cui non si è riusciti a risolvere il problema
9:28 cosa il terapeuta non dovrebbe fare quando conclude una terapia non riuscita
13:03 chi chiude la terapia?
14:18 quando è bene chiudere o mettere in pausa una terapia
15:27 la conclusione della terapia nella pratica di Valeria Ugazio
17:34 terapie individuali e famigliari: cosa cambia nel processo di chiusura
18:30 terapie famigliari: perché dovrebbero essere brevi
20:13 cosa fare se il paziente fatica a concludere la terapia

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LM: “Valeria, secondo te, una terapia, per considerarsi conclusa “felicemente”, che caratteristiche deve avere?”

VU: “Prima di tutto il paziente deve aver risolto, se hai dei sintomi, il suo problema. Deve avere un assetto relazionale intorno migliore. Io dico sempre alle persone con cui lavoro: quando terminiamo la terapia lei deve stare meglio, non rispetto a quando aveva i sintomi, ma meglio di prima che ci fossero i sintomi.

L'indicatore più sicuro del fatto che la terapia sia riuscita bene è che anche gli altri membri della famiglia siano cambiati. Le terapie individuali veramente riuscite producono dei cambiamenti anche negli altri membri della famiglia. Se non lo fanno, il contesto relazionale della persona deve essere diverso. Ad esempio ha un nuovo partner, ha una storia completamente nuova, ha creato nuove relazioni."

LM: “non credi che questo messaggio possa intimorire giovani colleghi con meno esperienza e che possa dare delle aspettative esagerate per chi ha delle psicopatologie anche gravi e radicate?"

VU: “Penso sia un grosso errore scoraggiare anche il paziente grave dal risolvere i propri problemi, perché da tutte le psicopatologie psichiche è possibile guarire. Ci sono patologie che sono più difficili da curare rispetto ad altre. Ad esempio le patologie psicotiche sono difficili da curare. Ma anche patologie come, ad esempio, l'anoressia. Nonostante ancora oggi si muoia di anoressia, si parla di un 10% circa, è più difficile da curare dell'obesità. Ciò nondimeno, molti gravi obesi riescono, non solo a dimagrire, ma anche a mantenere un peso del tutto normale per il resto della loro vita. Quindi è sempre possibile, certamente bisogna anche sapere che alcune patologie sono più difficili di altre."

LM: “all'interno di questo processo di guarigione, quali sono, secondo te, gli ostacoli più frequenti che la rendono più difficile?"

VU: “l'ostacolo maggiore non è la gravità del sintomo, ma la cronicità. Quando tu hai un problema da 10, 15, 20 anni è molto più difficile, sia perché ormai è diventato parte dell'identità della persona, sia perché anche un sistema di relazioni si è organizzato. Cioè, per quanto stiano tutti male, ormai c'è un assestamento.”

LM: “invece, senti, le terapie infelici, quindi quelle nelle quali il paziente non riesce a cambiare, o il problema non viene risolto, o magari viene risolto soltanto parzialmente, quelle come si concludono?"

VU: “direi che queste terapie si concludono dicendo al paziente che non siamo stati capaci. Dichiarando l'impotenza e suggerendo altri professionisti, cioè incoraggiando il paziente a non rinunciare al suo progetto di guarigione, a non rinunciare e a proseguire con altri professionisti.
Perché tutti noi abbiamo più voci. Quella voce, distruttiva magari, che il paziente sta presentando con te, con un altro non la presenta; sia in funzione del modo con cui l'altro si presenta, ma anche in funzione di lui stesso.

LM: “in queste terapie infelici che si concludono, c'è qualcosa che non bisognerebbe fare come terapeuta?"

VU: “spesso e volentieri vedo terapeuti che mandano il paziente dal neurologo o dallo psichiatra. Ma il messaggio implicito non è - prendi i farmaci perché ti aiutiamo per questa terapia -, bensì: - non sei adatto alla psicoterapia, per te vanno bene i farmaci -. È la cosa peggiore che si possa fare perché il paziente non è adatto alla psicoterapia con te. Ma con il tuo collega può essere adatto."

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