Paolo SORRENTINO e il CALCIO ||| Una foto, una storia

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Paolo SORRENTINO e il CALCIO ||| Una foto, una storia


Livorno-Napoli

La sera del 2 marzo 2014 il Napoli gioca in Toscana, a Livorno. È il posticipo domenicale delle 18:30, partita che finisce 1-1 e risulta nient'affatto indimenticabile. Tranne per un uomo che la sta guardando in un bar di Los Angeles, dove sono le 9:30 del mattino: quell'uomo è Paolo Sorrentino ed è solo all'inizio del giorno più importante della sua carriera da regista.

Sarà già in smoking? Si sarà già preparato il discorso della vita, pesare minuziosamente le parole, i silenzi e la punteggiatura mentale, e infine pronunciarlo davanti a una platea mondiale di decine di milioni di spettatori, non è un affare da poco. Si può risolvere la questione in stile Joe Pesci, che il 25 marzo 1991 – dopo aver ricevuto l’Oscar come miglior attore protagonista in Quei bravi ragazzi – disse semplicemente: «È stato un piacere. Grazie». Pur soggetto a numerose eccezioni, il regolamento ufficiale dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences prevede che il vincitore di un Oscar disponga di 90 secondi a cominciare dal momento della proclamazione, e dunque che il cronometro parta dal momento in cui si alza dalla sedia per dirigersi sul palco. E se inciampassimo lungo il percorso? E se rimanessimo paralizzati dall’emozione, mascella bloccata, sudori freddi irrefrenabili?

Scorsese perché è un maestro
Fellini perché è un genio
i Talking Heads perché sono stati la colonna sonora dell'età inquieta, nel walkman
Maradona accomunato all'arte

la moglie, i figli, il fratello Marco, la sorella Daniela, i genitori Sasà e Tina

L'uomo in più

“La perdita del successo è lo spettro del nostro lavoro, mi interessano più le cadute che le ascese”

“Era il mio primo film”, ha detto Sorrentino, “ero più giovane e naïf, e quando si è giovani lo sport sembra una specie di isolotto in cui regnano sovrani il Bene, il Giusto, il Bello”.

«Il calcio è un gioco, Antonio, ma tu sei un uomo fondamentalmente triste», si sente dire Pisapia dal suo presidente cialtrone e trafficone.

«Con Di Bartolomei ho fatto una scoperta sconvolgente. Un uomo che fa un mestiere normale e si suicida è un avvenimento nell’ordine delle cose; ma un calciatore che si suicida è un fatto eccezionale. Ho avuto voglia di raccontare questa fase in cui la vita smette di essere facile e smette di essere un gioco»

“La perdita del successo è lo spettro del nostro lavoro, mi interessano più le cadute che le ascese”


ci sarà calcio in quasi tutti i suoi lavori: «Il calcio è una bellissima variazione del cinema: ci sono tecniche, tattiche, trucchi, escamotage e c’è un finale che non è scontato, e che nessuno conosce»,

“Era il mio primo film”, ha detto Sorrentino, “ero più giovane e naïf, e quando si è giovani lo sport sembra una specie di isolotto in cui regnano sovrani il Bene, il Giusto, il Bello”.

Maradona in Youth (nei titoli di coda è “Sudamericano”)
Il Maradona di Youth è interpretato dall’attore Roly Serrano cui lo accomuna – oltre alla mole – il fatto di essere argentino, di simpatizzare per il Partito Comunista e di essere stato sposato con una donna di nome Claudia.

The Young Pope

Abbonato in curva B, cresciuto nel mito di Salvatore Bagni («Da ragazzo giocavo a centrocampo e correvo tanto come lui, poi ho iniziato a fumare»), Sorrentino cura da trentacinque anni un piccolo pantheon dei calciatori della sua vita: Zico, Zidane, Bergkamp, naturalmente Maradona.

«Sono giocatori che a lungo sembrano uguali agli altri, ma all’improvviso li scopri capaci di qualcosa di sovrannaturale, ed è in quel momento che diventano eroi. Questi calciatori vivono in un mondo a cui noi non possiamo avere accesso, del quale ignoriamo anche il modo stesso di entrare. È questa, l’emozione».

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