RAI-Filosofia: Luigi Pareyson. L'attualità e la fecondità del suo pensiero

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A trent’anni dalla sua scomparsa, l’8 settembre 1991, il pensiero di Luigi Pareyson è più attuale che mai. In occasione della pubblicazione del suo saggio Il forse bifronte (Mimesis 2021), Gianluca De Candia ci spiega le ragioni dell’attualità e della fecondità della filosofia pareysoniana.

Pareyson percorre un itinerario teoretico che lo conduce a pensare positivamente il darsi di un essere non solo non programmabile – nel senso della Lichtung heideggeriana –, ma anche non oggettivabile. Difendere l’inoggettivabilità della verità non significa però per Pareyson promuovere il “misticismo dell’ineffabile”, ma “l’ontologia dell’inesauribile”, la quale si apre ad una ermeneutica e ad una ontologia della libertà guadagnata liberando «Schelling da ogni residua preoccupazione per l’idea di necessità e Heidegger dallo spinoso problema dei rapporti fra il nulla, l’essere e gli enti». Insomma, non è il silenzio heideggeriano il luogo del darsi dell’aletheia, ovvero di un “pensiero rivelativo”, ma la parola perché «se è vero che la parola non può mai essere una enunciazione esauriente della verità, è anche vero che essa è la sede più adatta a coglierla e conservarla come inesauribile, giacché la verità non tanto si sottrae ad essa per ritirarsi nel segreto, quanto piuttosto le si concede solo stimolandovi e permettendole nuove rivelazioni».

Pareyson fornisce così le coordinate di base per pensare la verità come radicalmente esposta alla libertà dell’interprete: «l’originario rapporto ontologico è necessariamente ermeneutico, e ogni interpretazione ha necessariamente un carattere ontologico. Ciò significa che della verità non c’è che interpretazione e che non c’è interpretazione che della verità». Ma il fatto che la referenza ontologica della sua ermeneutica della verità non solo sia dichiarata “inesauribile” e ultimativamente non attingibile, ma appesa alla libertà della persona, espone la filosofia pareysoniana ad un vero e proprio conflitto delle interpretazioni. Tanto è attestato dalla recezione che del maestro hanno fatto Umberto Eco e Gianni Vattimo.

Umberto Eco (1932-2016) attribuisce a Pareyson il merito di aver riconosciuto una oscillazione inesauribile tra l’interpretazione potenzialmente infinita e l’opera d’arte. Al contempo Eco dichiara che la teoria estetica del maestro «può essere benissimo laicizzata e funzionare come guida per chi intenda muoversi al livello dei puri rapporti culturali». Anche Gianni Vattimo (*1936) si mette in dialogo con l’ontologia dell’inesauribile del maestro, rifiutandone però in modo assai più radicale di Eco la referenza veritativa. Come il filosofo stesso dichiara nel libro Le avventure della differenza, di Pareyson aveva apprezzato l’opposizione all’hegelismo allora dirompente in Italia, nonché l’insistenza sulla portata ontologica del linguaggio, ovvero il carattere essenzialmente ermeneutico dell’essere, che implica l’impossibilità di una sua qualche integrazione con l’ente.

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