Sebbene nel passaggio dalla civiltà feudale a quella comunale i valori etico-religiosi dell’epica delle origini mutino, la narrazione delle avventure cavalleresche continua a godere, anche nel secolo XV (e sarà così anche per il secolo successivo, sebbene con caratteristiche proprie che analizzeremo quando si parlerà di Tasso) una grande fortuna tra il pubblico popolare e incolto. Per soddisfare queste richieste di svago nascono i cantari, che fondono la materia avventurosa del ciclo carolingio con quella amorosa e fiabesca del ciclo bretone, introducendo anche degli elementi comico-burleschi che ne deformeranno la sostanza originaria. I cantari erano produzioni rozze destinate alla riproduzione nelle piazze cittadine da parte dei giullari, ma il loro stile sarà ripreso anche da autori di tutto rispetto: Luigi Pulci, Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto, che – tra Quattro e Cinquecento – daranno una veste letteraria alle medesime vicende, indirizzandole però al pubblico colto delle corti signorili.
L’opera più famosa di Pulci è senz’altro il Morgante, un ampio poema in ottave che narra le vicende dell’omonimo gigante e delle sue stravaganti imprese. Una prima redazione dell’opera risale al 1478. La narrazione non ha un disegno organico e unitario, bensì episodico e trova la sua fonte nelle vicende dei conti paladini alla corte di Carlo Magno (che nell’opera di Pulci appare ormai vecchio e senza senno), inserendo nuovi personaggi dal carattere burlesco, come il furfante Margutte e il diavolo sapiente Astarotte. I paladini narrati da Pulci perdono la loro eroica dignità, degradandosi a livelli buffoneschi, divenendo quasi dei furfanti; tuttavia questa narrazione a tratti diviene anche eroica e patetica, dando origine ad un effetto insieme comico e serio. Lo stile del Morgante riflette la leggerezza e la mutevolezza degli eventi narrati. La base linguistica è il toscano parlato, dialettale, con mescolanze di termini latini, letterari e filosofici. Questo gusto per la mescolanza linguistica, che deforma e forza la narrazione fino ad arrivare alla parodia, sarà poi ripreso da Rabelais nel suo Gargantua e Pentagruel.
Celebre è l’episodio, narrato nel canto XVIII, dell’incontro tra il gigante Morgante e il mezzo-gigante Margutte, dove questi risponde alle domande del primo narrando tutta una serie di “virtù” cardinali e in cui la narrazione diviene piena di doppi sensi osceni: Ciò ch’io ti dico non va insino all’effe: / pensa quand’io sarò condotto al rue! / Sappi ch’io aro, e non dico da beffe, / col cammello e coll’asino e col bue; / e mille capannucci e mille gueffe / ho meritato già per questo o piùe; / dove il capo non va, metto la coda, / e quel che più mi piace è ch’ognun l’oda.
Boiardo nacque vicino a Reggio Emilia nel 1441, da una famiglia di antica nobiltà feudale. Da giovane si dedicò allo studio e compì diverse ambascerie per la corte ferrarese, dove si trasferì nel 1476, fino a ricoprire varie volte l’incarico di governatore di Modena e Reggio; qui morì nel 1494.
La sua opera più importante è l’Orlando Innamorato a cui comincia a lavorare già dal 1476. Il poema riprende la materia cavalleresca ed è destinato al diletto dell’élite di corte. Nel 1483 furono pubblicati i primi due libri del poema (60 canti), mentre il terzo si interrompe al canto IX. Sin dal Proemio il poeta rivela di voler cantare “cose dilettose e nove”; l’elemento di novità sta proprio nella trama dell’opera: il forte paladino Orlando, protagonista di tante imprese guerresche, austero difensore della fede, cade in preda all’amore per Angelica. Come è possibile notare, dunque, alla materia amorosa del ciclo bretone viene mischiata la materia cavalleresca del ciclo carolingio. Del ciclo bretone troviamo un’ulteriore testimonianza nel poema di Boiardo soprattutto per la presenza di elementi magici (fate, maghi, incantesimi, repertorio tipico del romanzo cortese).
L’amore è la forza movente delle azioni dell’Orlando di Boiardo. L’apparizione di Angelica, figlia del re del Cataio (Cina), scatena il desiderio di tutta la corte di Carlo Magno, che partiranno all’avventura per ottenere il suo amore. Lo stesso Orlando perderà la ragione per la giovane principessa, sfidando il rivale Rinaldo. Per mettere pace tra la sua corte, Carlo Magno decide di promettere la fanciulla al cavaliere che più si sarebbe distinto nell’imminente battaglia contro i saraceni. La narrazione si interrompe a questo punto e sarà ripresa soltanto da Ariosto.
A differenza della parodia di Pulci, Boiardo sembrava credere seriamente che gli ideali cavallereschi potessero rivivere dopo il periodo di appannamento nel corso dell’epoca Comunale. Tuttavia, Boiardo è immerso nell’ambiente umanistico del tempo e nella sua cultura e ciò fa sì che gli ideali cavallereschi da lui cantati sembrino svuotati dei loro contenuti religiosi, etici e politici, per riempirsi di valori umanistico-rinascimentali.
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