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Il 25 agosto 1926 (data tradizionalmente anticipata al 1º agosto), l'industriale napoletano Giorgio Ascarelli fondò l'Associazione Calcio Napoli e la nuova squadra venne subito ammessa al campionato di Divisione Nazionale, in virtù del primo posto dell'Internaples nel torneo di Prima Divisione Lega Sud 1925-1926.
Per la prima volta le squadre del Nord e le squadre del Sud disputarono il medesimo torneo (in precedenza c'erano due tornei, uno del Nord e uno del Sud, le cui vincitrici si affrontavano nella finalissima nazionale).
Ascarelli fu un grande appassionato di calcio, tra i fondatori dell'Open Air Sporting Club, passò a valorizzare l'Internazionale poi l'Internaples», di cui nell'estate del 1925 rileva da Emilio Reale il ruolo di presidente, per diventare successivamente presidente e mecenate del Napoli.
Come industriale, erede di una grande famiglia di imprenditori tessili, si trovò ad amministrare un fatturato considerevole, che incrementò ulteriormente grazie alle sue innate capacità; la sua Manifattura di Villadosia aveva carattere di interesse nazionale estendendo la propria attività anche in Lombardia nella zona di Busto Arsizio.
Nell'estate del 1926, a seguito dell'entrata in vigore della Carta di Viareggio con cui il CONI fascista consente alle squadre di Roma e Napoli di partecipare alla divisione nazionale con quelle del Nord, è il promotore principale del cambio di denominazione sociale del Napoli Calcio, da Internaples F.B.C. ad A.C. Napoli, in modo da compiacere al regime che mal tollerava nomi e termini in lingua inglese.
Grazie agli sforzi economici ed alle idee di mercato del presidente Ascarelli, la nuova formazione divenne in breve tempo competitiva a livello nazionale, sebbene non nella sua prima stagione che, anzi fu avarissima di soddisfazioni.
La neonata società aveva la possibilità di partecipare alla Divisione Nazionale, torneo composto da 10 squadre, per un totale di 18 partite, tra andata e ritorno.
Il campionato partì il 1º ottobre 1926 e il Napoli fece il suo esordio ufficiale in casa, nello Stadio Militare dell'Arenaccia, contro l'Inter, perdendo per 3-0. Nelle nove gare del girone d'andata subì altrettante sconfitte e realizzò soltanto tre reti, bottino misero se si considera le ventinove reti subite; il Napoli chiuse il girone d'andata all'ultimo posto. Il girone di ritorno fu ugualmente di estrema pochezza, considerando che nelle nove gare giocate subì otto sconfitte racimolando un solo punto nel pareggio casalingo contro il Brescia (0-0).
La squadra in effetti era ancora troppo debole per affrontare le corazzate del nord Italia, sebbene potesse schierare, tra le sue fila, calciatori che, in seguito, faranno la storia del Napoli, come il giovanissimo bomber di origine paraguaiana, Attila Sallustro.
Il primo gol ufficiale della AC Napoli fu segnato da Paulo Innocenti, italo-brasiliano, nella partita del 17 ottobre 1926, persa per 4-1 a Genova contro i rossoblu.
Il primo punto fu ottenuto, come detto, il 13 febbraio 1927 nella partita casalinga contro il Brescia.
Sempre nella sua prima partecipazione alla Divisione Nazionale, furono quasi da record le sconfitte contro Juventus, per 8-0 e Inter, per 9-2.
Terminata all’ultimo posto in classifica, la AC Napoli fu ammessa al torneo di “consolazione”, la coppa CONI, disputata tra il 27 marzo e il 3 luglio 1927.
In questa manifestazione per la AC Napoli andò decisamente meglio, riuscendo la squadra napoletana ad ottenere 3 vittorie, 3 pareggi e 4 sconfitte.
Il buon risultato in coppa coni consente al Napoli di ottenere la permanenza in Divisione Nazionale per la stagione 1927/28, evitando la retrocessione.
La prima maglia utilizzata dal Napoli per il nuovo campionato era di colore azzurro con colletto bianco e pantaloncini bianchi. Quale stemma del sodalizio fu adottato uno scudo ovale, dal fondo azzurro, con un cavallo inalberato e rivoltato, collocato su un pallone da calcio.
Per ironizzare sui pessimi risultati sportivi della stagione, dalla figura del cavallo fu derivata la mascotte del club, il cosiddetto "ciuccio" che poi divenne, in un detto popolare, “ciuccio e fechella”.
Al bar brasiliano, luogo di ritrovo dei tifosi più accesi un giorno, uno di questi gridò esasperato: “sta squadra nosta me pare ‘o ciuccio ‘e Fechella: trentatré piaghe e ‘a coda fraceta”(questa nostra squadra mi sembra un asino che si lamenta per le sue trentatré piaghe e per la coda moscia).
La battuta riscosse enorme successo a tal punto da esser riportata da un quotidiano che riprodusse il disegno di un asinello mal ridotto, pieno di cerotti e con una misera coda. Da quel momento il cavallino rampante che simboleggiava il Napoli, fu soppiantato dal “ciuccio”. Il logo troppo ottimista del cavallo rampante, venne quindi abbandonato alla fine della stagione, per l’adozione del più sobrio logo con una N dorata in campo azzurro.
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