L'ultimo TROFEO del TORINO: Coppa Italia 1993

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L'ultimo TROFEO del TORINO: Coppa Italia 1993

Elenco in ordine alfabetico delle squadre che dal 1995 a oggi si sono qualificate almeno una volta a una semifinale di Coppa Italia: Alessandria, Atalanta, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Cremonese, Fiorentina, Foggia, Inter, Juventus, Lazio, Milan, Napoli, Palermo, Parma, Perugia, Roma, Sampdoria, Siena, Udinese, Venezia, Vicenza. Notato niente? Manca qualcuno? Sì, manca il Torino. Non c'è il Torino, che da trent'anni è immerso in questo limbo di nostalgia e mediocrità di cui non si vede la fine. Soprattutto, non la vedono i suoi tifosi, giustamente esigenti, allevati nel mito di una squadra irripetibile ma anche di "Tori minori" che però seppero scaldare il sangue e accelerare il battito di un popolo intero. Precisamente, il Torino dei primi anni Novanta, allenato da Emiliano Mondonico, l'ultimo Toro non più seduto ma dritto in piedi, per alzare un trofeo: la Coppa Italia del 1993. Un'impresa, come vedremo, in perfetto stile Toro.


Un anno prima, estate 1992, più che scatenato il Toro è disperato. Il trauma dei tre pali di Amsterdam rimbomba ancora nelle orecchie di tutti i tifosi nelle settimane di giugno in cui, mentre i cugini bianconeri si rinforzano con Andy Moeller e Gianluca Vialli, la disastrosa situazione economica del club costringe il presidente Gian Mauro Borsano a svendere uno dopo l'altro Roberto Policano (al Napoli), Giorgio Bresciani (al Cagliari), Silvano Benedetti (alla Roma), Martin Vazquez (all'Olympique Marsiglia), il capitano Roberto Cravero (alla Lazio) e soprattutto il gioiello di famiglia, la nuova farfalla granata, l'erede di Gigi Meroni, ovvero Gigi Lentini, ceduto al Milan per una cifra mai del tutto chiarita. Ce n'è abbastanza per scendere in piazza e chiedere la testa di un presidente che, nonostante il seggio in Parlamento con il Partito Socialista, è più che mai in difficoltà: sulla sua testa pende un'accusa di bancarotta fraudolenta in seguito al crack della Ipifim, una finanziaria da lui fondata e fallita, schiacciata da 65 miliardi di debiti. Il mercato in entrata stenta a ingranare e alla fine, come spesso succede negli anni Novanta italiani, finisce per parlare spagnolo, anzi uruguaiano. Uno è davvero forte, è Pato Aguilera, in arrivo dal Genoa, che forse viene pagato più di quanto viene dichiarato; l'altro è Marcelo Saralegui, un oggetto misterioso di 22 anni proveniente dal Nacional Montevideo, un mediano che arriva come pacco-dono dell'istrionico procuratore Paco Casal per la cifra folle, e molto sospetta, di 7 miliardi e mezzo di lire. Infine, qualche altra figura di secondo piano come il terzino sinistro Raffaele Sergio dalla Lazio, il centrocampista tuttofare Daniele Fortunato dal Bari o il centravanti romano Andrea Silenzi, detto "Pennellone" per le lunghe leve, in arrivo dal Napoli.


Ma il clima di sfiducia che aleggia sul Toro viene spazzato via nel giro di un paio di mesi da un inizio di stagione folgorante, in cui l'unica amarezza è rappresentata dall'eliminazione al secondo turno di Coppa UEFA per mano della Dinamo Mosca. Perché in campionato il Toro vola, ed è la prima squadra italiana a dimostrare al mondo che il super-Milan di Fabio Capello sarà anche invincibile, ma non è impareggiabile: dopo sette vittorie nelle prime sette giornate, i rossoneri vengono bloccati sullo 0-0 a San Siro da un Toro irriducibile che resiste anche in 10 nell'ultima mezz'ora per l'espulsione di Mussi. Fino a metà novembre la situazione è eccellente, alla nona giornata il Toro è imbattuto, ma un derby perso al 94' per un autogol di Venturin inaugura una fase di depressione che gli fa perdere contatto dalla zona-UEFA. Comunque, oltre le più rosee aspettative: il Toro arriva a Natale secondo in classifica assieme a Inter e Fiorentina, molto meglio dell'anno prima, miglior difesa della Serie A a cominciare da un portiere stabilmente nel giro della Nazionale come Luca Marchegiani, nonostante una notte horror vissuta al Sant'Elia di Cagliari in un'Italia-Svizzera che lascerà parecchie cicatrici nella sua anima. È una specie di 3-4-1-2 molto anni Novanta, con Luca Fusi che ha ereditato da Cravero i gradi di capitano e libero, fiancheggiato dai soliti mastini Pasquale Bruno ed Enrico "Tarzan" Annoni. A tutta fascia galoppano Roberto Mussi a destra e Raffaele Sergio a sinistra, con due a turno tra Daniele Fortunato, Giorgio Venturin e Gianluca Sordo al servizio del trequartista Vincenzo Scifo, alle spalle della classica coppia di attaccanti che usava all'epoca, il corto e il lungo, il piccoletto e il gigante, ovvero Pato Aguilera e il brasiliano Walter Casagrande, che nel ruolo di numero 9 si dà il cambio con Silenzi.

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